“Ma noi di Tre ci abbiamo creduto”

Tele-Rilevamento Europa, 26 addetti e filiale in Canada, sviluppata nell’incubatore universitario

Pubblicato il 22 Set 2009

Da ingegneria delle telecomunicazioni escono solo “topi da
laboratorio”? Non proprio. Anzi, per chi è bravo e determinato,
ci sono molte occasioni. Una è quella di mettersi in proprio.

Negli ultimi dieci anni il Politecnico di Milano ha partorito 15
società spin-off: di queste, sette sono venute fuori da ingegneria
delle telecomunicazioni. E fra queste ci sono anche le tre più
grandi, che da sole fatturano circa una decina di milioni l’anno.
Il Politecnico ha realizzato dei veri e propri “incubatori
d’impresa”, aree in cui far crescere queste realtà, formate da
studenti che hanno deciso di mettere in comune sogni e capacità,
per poi farle uscire quando sono abbastanza strutturate da
camminare con le proprie gambe, mantenendo inizialmente una parte
della proprietà e riducendola poco a poco.

Il Corriere delle Comunicazioni ne ha parlato con Alessandro
Ferretti, Ad e co-fondatore di Tre (Tele-rilevamento Europa) che,
nata da tre persone, ora ne occupa 26 e ha aperto una filiale in
Canada.

Com’è nata l’idea della sua azienda e cosa ha fatto il
Politecnico per aiutarvi?

Tele-Rilevamento Europa (Tre) è nata dalla voglia di non fermarsi
all’articolo scientifico, provando a verificare la portata di
un’idea innovativa nata dalla ricerca universitaria. Nel nostro
caso si trattava di un algoritmo per la stima di deformazioni
superficiali del terreno a partire da immagini radar satellitari.
Allora eravamo un professore ordinario (Fabio Rocca), un professore
associato (Claudio Prati) e un assegnista di ricerca con contratto
a termine (il sottoscritto).
Certo la mancanza di prospettive per una carriera accademica, a
causa della mancanza di concorsi, e la necessità di provare a
costruire un futuro professionale non dipendente da manovre
finanziare o riforme dell’università hanno giocato, nel mio
caso, un ruolo importante nella scelta imprenditoriale. Dopo aver
brevettato la tecnica, abbiamo iniziato una serie di discussioni
che sono sfociate nel 2000 nella creazione di Tre. Si trattava
della prima società a fine di lucro compartecipata dall’Ateneo:
evento comune nelle università d’oltreoceano, ma estremamente
raro in Italia, almeno dieci anni fa.
L’ingresso nell’incubatore d’impresa del Politecnico di
Milano, creato da lì a poco, e la passione dei primi dipendenti,
ex-tesisti con un enorme desiderio di lavorare nel settore
satellitare e con una gran voglia di fare, hanno permesso di fare i
primi passi, forse i più difficili.

Una volta usciti dall’ “incubatrice” universitaria, come sono
rimasti i rapporti con il Polimi? E il mondo del mercato come ha
visto il legame con questo mondo?

Una volta usciti dall’incubatore, i rapporti con il Politecnico
sono rimasti buoni, anche perché due dei soci facevano parte del
personale strutturato ed entrambi erano ormai professori ordinari.
In generale, si è deciso di portare avanti le attività di ricerca
a medio-lungo termine in ambiente universitario, tipicamente
finanziando dei dottorati di ricerca su tematiche d’interesse, e
portando avanti lo sviluppo a breve-medio termine in Tre. Non
dimentichiamo poi che Tre paga delle royalities all’Ateneo per lo
sfruttamento del brevetto e con queste si finanziano altre
iniziative.

C’è una disaffezione degli studenti verso l’ingegneria
delle telecomunicazioni. Riesce ad immaginarne i
motivi?

Le voci corrono in fretta. Il tam-tam degli studenti è
estremamente efficace. Quando si comincia a sentir dire che il
mercato, soprattutto quello della telefonia, è saturo, la ricerca
si fa all’estero e qui in Italia si finisce per fare i
commerciali, la gente si preoccupa. Se poi corre voce anche che il
corso di studi è lungo e impegnativo…

Perché farlo, se poi sembra non offrire sbocchi lavorativi
interessanti?
E cosa si sente di consigliare loro, soprattutto pensando alle
prospettive?

Difficile a dirsi. Quello che posso dire è che la base culturale
offerta da Ingegneria delle Telecomunicazioni è ancora di livello
elevato e permette di avere gli strumenti giusti per provare a
comprendere un mondo che cambia a ritmi impressionanti. Ho paura di
chi sceglie una laurea solo perché gli hanno detto che guadagnerà
bene. Quando? Fra 5-6 anni? Ma nel frattempo può essere cambiato
tutto! Cerchiamo invece di puntare in alto quando studiamo quello
che ci piace e per cui ci sentiamo portati.
Proviamo ad essere i più bravi. A livello internazionale. Lo so,
non è facile trovare l’equilibrio tra realismo e sogno, ma –
dopo tutto – non è proprio questa la formula magica per fare
imprese di successo?

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