Le reti legacy costano sempre di più in termini di manutenzione, esercitando una significativa pressione finanziaria e operativa sui fornitori di servizi Tlc. L’81% degli operatori afferma che queste infrastrutture ostacolano la capacità di implementare nuovi servizi, limitando la competitività rispetto ai provider digitalizzati.
“Gli operatori sono intrappolati in un circolo vizioso in cui le reti legacy stanno diventando sempre più costose da mantenere, e la completa dismissione è ancora molto lontana. La continua dipendenza dal rame e dalle reti mobili di vecchia generazione rappresenta un ostacolo significativo alle innovazioni di rete in ambito 5G e fibra, compromettendo competitività e sostenibilità”, spiega John Teasdale, Group Chief Network Officer di Txo. La società specializzata nella fornitura di soluzioni tecnologiche sostenibili ha realizzato un’indagine ad hoc che esplora i limiti e le opportunità del settore rispetto alle strategie di modernizzazione delle reti.
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La persistenza delle reti legacy
Ebbene, la maggior parte degli operatori prevede che le infrastrutture obsolete, tra cui rame, 2G e 3G, rimarranno in servizio per il prossimo futuro. Gli investimenti in modernizzazione delle reti non mancano, ma secondo la ricerca di Txo il 79% degli operatori intervistati afferma che le proprie reti in rame saranno operative almeno fino al 2028, mentre più di un quarto (28%) prevede che dureranno fino al 2030 o oltre. Analogamente, il 43% dei fornitori di servizi segnala che le reti 2G non saranno completamente dismesse prima del 2030, mentre quasi un quinto (19%) prevede che gli sforzi di dismissione continueranno anche oltre tale data.
Prevale la cautela rispetto alla modernizzazione dei network
Eppure tutti sono consapevoli che converrebbe agire: con il 98% dei responsabili delle decisioni in materia di reti che segnala un aumento dei costi operativi complessivi dovuto alla manutenzione di infrastrutture obsolete, l’onere finanziario della gestione delle infrastrutture legacy sta diventando un tema rilevante.
Ma le società di telecomunicazioni rimangono caute riguardo alle dismissioni su larga scala: tre quarti degli intervistati affermano di aver ritardato la dismissione delle reti più vecchie. Il 53% del campione afferma di aver ritardato la dismissione a causa della carenza di manodopera.
I rischi per l’operatività
Anche la resilienza operativa è a rischio. Lo studio ha rilevato che le interruzioni di servizio più gravi causate dalle reti legacy, con conseguenti tempi di inattività, costano alle aziende una media di un milione di euro all’anno.
Le interruzioni sulle infrastrutture legacy sono del resto più frequenti e dirompenti che mai. Le reti più datate non sono state progettate per gestire le esigenze odierne, il che le rende soggette a guasti e, per molti grandi fornitori di servizi, i costi di manutenzione sono aumentati del 30-40% solo nell’ultimo anno. “La combinazione di costi crescenti, tempi di inattività e inefficienza energetica rende più che mai urgente la necessità di dismettere le tecnologie di rete legacy”, rimarca Teasdale.
C’è chi punta sull’economia circolare
È comunque incoraggiante notare come molti operatori stiano adottando iniziative di economia circolare per affrontare la sfida: l’85% ha in programma di rivendere l’infrastruttura in rame nell’ambito di una strategia di economia circolare, mentre l’80% ha piani simili per le apparecchiature 2G e 3G. Una precedente ricerca di Txo ha inoltre rivelato che l’80% degli operatori sta riciclando le vecchie apparecchiature e il 63% acquista componenti ricondizionati per supportare le operazioni in corso.
I vantaggi dell’economia circolare: il modello di business di Txo
Riciclare e rivendere le apparecchiature obsolete può aiutare le telco ad aggiornare le proprie reti più rapidamente, oltre a generare un guadagno extra, secondo Txo, che essenzialmente promuove il riutilizzo e il rinnovamento di materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile.
Se gli operatori vengono messi in condizione di rivendere o riciclare le loro vecchie apparecchiature “e ricavarne un buon guadagno, gli aggiornamenti saranno più rapidi”, precisa Julia Evans, Group Operations Director di Txo. “Credo che ora ci sia un vero incentivo per il settore ad adottare questa soluzione”.
Quello che Txo può fare è estrarre metalli come rame, oro, argento e palladio dalle apparecchiature e comunicare ai clienti la quantità “al grammo” che possiedono. Le aziende possono quindi cedere questi metalli e introiettare capitale.
A cosa serve il Carbon Calculator
Per aiutare le organizzazioni a raggiungere i loro obiettivi di riduzione delle emissioni, Txo ha lanciato un calcolatore di carbonio che i clienti possono utilizzare per quantificare il risparmio di carbonio derivante dall’acquisto e dalla rivendita di apparecchiature di rete ricondizionate.
La teoria alla base del calcolatore è semplice. “In pratica, si tratta delle emissioni di un prodotto appena prodotto meno le emissioni di Txo derivanti dalla consegna di quel prodotto ricondizionato ai nostri clienti”, spiega Evans. “Questa differenza rappresenta il risparmio di carbonio”.
Il Carbon Calculator di Txo tiene conto di variabili come la durata di vita dell’apparecchiatura, il tempo necessario per ripararla, l’impronta di carbonio associata al trasporto fino all’operatore, e “tutto ciò che entra in contatto con un prodotto”, aggiunge Evans, secondo cui, tra le altre cose, “non c’è molta differenza di durata tra apparecchiature nuove e ricondizionate, poiché i componenti ricondizionati provengono spesso da una rete appena aggiornata.