«Voi avete una carta in più da giocare: quella del patrimonio culturale»: incontrando i funzionari dell’Ambasciata italiana in Vaticano, il 20 dicembre scorso, Papa Francesco per la prima volta ha parlato dell’Italia come nazione, definendola sinonimo “di cultura, di arte, di civiltà”.
Anche il Papa “venuto dalla fine del mondo”, ma oriundo italiano, sa che l’Italia ha questa carta in più da giocare. Solo gli italiani e chi li governa si direbbe non ne siano convinti. Perché non la giocano a dovere per vincere la partita della ripresa. Tantomeno sul terreno che le sarebbe più propizio, quello della Rete, della connettività. È solo un esempio, uno dei tanti, di un atteggiamento complessivo di attesa e lentezza, che aggrava la crisi e frena la crescita, che dissuade gli investitori esteri, deprime le imprese, ostacola l’occupazione, contrasta ogni innovazione. In particolare sul fronte tecnologico, che oggi è anche e soprattutto digitalizzazione e connettività. Alla fine del 2012 l’Agenda digitale era già legge, e cos’ha fatto il governo, dopo un anno? Ha affidato una “missione di verifica” al commissario per l’attuazione dell’Agenda, Francesco Caio, sullo stato della rete delle Tlc. Ma la realtà è già ben nota.
Siamo il fanalino di coda in Europa. Certo, le risorse pubbliche scarseggiano ma l’impressione è che la gravità di questo “spread” sia sottovalutata. Un Paese di piccole imprese creative e innovativa, e di straordinarie bellezze naturali e artistiche, deve puntare sul digitale se vuole creare lavoro e benessere. Invece la condizione della rete fissa in Italia – sideralmente lontana dagli obiettivi europei per il 2020 – non lo consente. Il digital divide lo impedisce. Ma così nessun obiettivo di crescita, e tantomeno le finalità dell’Agenda digitale, potranno essere raggiunte quando e come sarebbe necessario al Paese.