Rai Way-Ei Towers, Sassano: “Serve un operatore di rete puro nazionale”

Il docente della Sapienza: “L’Opas lanciata dalla controllata Mediaset apre una partita molto più ampia, quella del consolidamento e della convergenza delle infrastrutture di trasmissione: dalla Tv all’Lte. Centrali l’aspetto regolatorio e la separazione reti-contenuti”

Pubblicato il 02 Mar 2015

Antonello Salerno

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Il numero di operatori di rete europei è, di molto, superiore a quello degli Stati Uniti dove fusione e crescita dimensionale delle aziende di telecomunicazioni hanno realizzato un processo di consolidamento che in Europa è ancora in una fase iniziale. Fase iniziale che vede però alcuni paesi europei un passo avanti all’Italia, con grandi operatori di rete “campioni nazionali” già operativi, che operano su più piattaforme (TV, telefonia mobile, “wifi”), trasportano in modo neutro i contenuti di tutti i fornitori di servizi e non offrono alcun servizio agli utenti finali (“operatori puri”).
L’Italia, come in altri settori, è bloccata in uno scenario pre-digitale: contrariamente agli altri paesi europei non abbiamo operatori puri e nemmeno operatori multi-piattaforma. Abbiamo invece due operatori di rete televisivi con impianti presenti su tutto il territorio nazionale, Rai Way ed Ei Towers, con reti sostanzialmente duplicate, con un ruolo marginale nella telefonia mobile e, in più, di proprietà di aziende come Rai e Mediaset, che possiedono la metà dei multiplex nazionali e raccolgono gran parte dell’audience e della pubblicità.
Ora, prima la quotazione in Borsa di Rai Way e poi l’Opas lanciata da Ei Towers sulla stessa Rai Way possono rappresentare il calcio d’inizio di una radicale trasformazione che sani l’anomalia appena descritta, e avvii un processo di consolidamento degli operatori di rete che per il Paese è sempre più urgente.
E’ questa in sintesi l’analisi di Antonio Sassano, professore ordinario di ricerca operativa al dipartimento di informatica e sistemistica dell’Università Sapienza di Roma, oltre che uno dei massimi esperti in Italia nel campo delle frequenze.

Sassano, perché tutto questo movimento sui mercati europeo e italiano nel campo delle infrastrutture di trasmissione?

Partiamo da un dato certo: i contenuti del futuro saranno in forma digitale e, almeno nel breve-medio periodo, saranno trasportati su reti governate dal protocollo IP: in parole semplici su Internet. La distinzione tra le diverse piattaforme, digitale terrestre, satellite, reti mobili e fisse, sarà sempre più sfumata e la tendenza, già ben visibile a livello internazionale, sarà quella della concentrazione e della nascita di operatori di rete di grandi dimensioni, con significative economie di scala, specializzati nel solo trasporto dei contenuti e dotati di competenze e infrastrutture in grado di gestire al meglio tutti i segmenti della rete del futuro, dalla radio alla TV, dal wireless al fisso. Questo processo di concentrazione e specializzazione è molto avanzato negli Stati Uniti. Probabilmente verrà ulteriormente accelerato dalle recenti decisioni dell’Fcc sulla Net Neutrality.

Succede così anche in altri Paesi europei?

In paesi europei con caratteristiche di sviluppo infrastrutturale molto diverse tra loro come Francia e Spagna, con reti di diffusione terrestre analoghe alle nostre, e Inghilterra, con un capillare sviluppo delle reti via cavo, la presenza di operatori verticalmente integrati solo radio-televisivi è assolutamente marginale. Al contrario, un veloce processo di concentrazione ha condotto alla nascita di grandi operatori di rete puri, il cui unico obiettivo commerciale è quello di mettere a disposizione infrastrutture trasmissive e collegamenti di trasporto, a fornitori di contenuti altrettanto puri. L’assenza di un legame rete-contenuto ha favorito la crescita di operatori convergenti ad alta competenza e con crescente proiezione internazionale. In Francia e all’estero TDF gestisce 10.652 siti di trasmissione, contro i meno di 2.000 di Rai, trasporta operatori televisivi, radiofonici e mobili, gestisce una rete fissa ad alta capacità di circa 5mila chilometri e, con la controllata Arkena, un’estesa Content Delivery Network, servizio essenziale per i nuovi player, a partire da Netflix. Analogamente, In UK Arqiva con 2mila dipendenti gestisce più di 16mila siti trasmissivi e una vastissima rete di hot-spot wifi collegati tra loro in fibra.
In queste realtà gli operatori di rete hanno già riunito sotto lo stesso tetto attività che in Italia sono ancora separate. Noi siamo molto più indietro. L’operatore televisivo che utilizza la sua rete e le sue frequenze per fornire contenuti propri è stato, negli ultimi decenni, una caratteristica peculiare. Non solo per gli operatori principali, come Rai e Mediaset, ma anche tutti gli operatori nazionali di piccole e medie dimensioni e i quasi 500 operatori locali. Si tratta di una figura che tende a privilegiare una piattaforma rispetto alle altre e a bloccare il processo di consolidamento.
Di conseguenza l’Italia è ferma in una fase ancora embrionale del processo di concentrazione. Gli operatori di rete televisivi sono centinaia, più che in tutto il resto d’Europa; ci sono due operatori nazionali con reti sostanzialmente identiche in termini di aree di servizio e nessun operatore di rete, nazionale o locale, che abbia allargato i suoi servizi alla telefonia mobile o alle reti fisse. Rischiamo di essere “prede” dei concorrenti europei più strutturati, come nel caso AbertisWind.
Credo dunque sia riduttivo leggere la mossa di Ei Towers come un’azione con le logiche del vecchio mondo del duopolio radiotelevisivo. Ho invece l’impressione o meglio la speranza che si tratti di un primo passo di un processo che è solo all’inizio, e che in Italia potrebbe portare, come già succede negli Usa e in altri Paesi Europei, alla concentrazione degli operatori di rete.

Quali sarebbero le convenienze immediate di una società unica delle torri?

In Italia, Rai e Mediaset sono gli unici due operatori di rete che dispongono di impianti capillarmente distribuiti sul territorio nazionale. Inoltre, la necessità di essere entrambi “visibili” dalle antenne degli utenti ha fatto in modo che i trasmettitori Rai ed Ei Towers abbiano, spesso, aree di servizio sostanzialmente coincidenti. Insomma due insiemi di impianti con altissima sovrapposizione e due operatori perfettamente in grado di trasportare i programmi l’uno dell’altro. Se dovessero riunirsi si creerebbe una realtà che vedrebbe costi radicalmente abbattuti e il fatturato raddoppiato. Le sinergie sono chiare, palesi. E c’è da aggiungere che in prospettiva il consolidamento potrebbe non fermarsi alle torri Tv, che sono un business destinato a ridimensionarsi fino a sparire da qui al 2030, come previsto da rapporto Lamy. Potrebbe coinvolgere l’intero sistema delle reti di trasmissione wireless nazionale. Non dimentichiamo che tra 2020 e 2030 la banda Uhf sarà interamente destinata alla banda larga mobile. Il Governo, dando il via alla quotazione in borsa di Rai Way, ha mosso la prima pedina di un domino che diventerà inarrestabile.

Ciò non toglie che l’opa lanciata da Ei Towers apra una questione importante in termini di Antitrust

Non sono un esperto di antitrust, ma credo che l’operazione proposta abbia due effetti anti-competitivi ben visibili: elimina ogni concorrenza nel mercato delle torri di trasmissione ed affida la responsabilità della qualità delle trasmissioni di tutti i fornitori di contenuti presenti sulla piattaforma digitale terrestre a due operatori controllati da aziende che posseggono la metà dei multiplex (frequenze) nazionali, hanno più del 70% dell’audience complessiva e raccolgono la quasi totalità della pubblicità sulla piattaforma digitale terrestre. Per rispondere a questi due problemi concorrenziali, Agcom e Antitrust dovranno definire in modo stringente listini e obblighi dell’operatore di rete risultante dalla fusione e, per evitare problemi in mercati adiacenti, dovranno inevitabilmente porsi il problema della separazione proprietaria della rete dai contenuti. Sono sicuro che anche Mediaset sia ben consapevole della necessità di questo passaggio.

Quale sarebbe allora il punto di caduta di questa operazione?

Il punto d’arrivo, che dovrebbe essere definito dalle indicazioni delle Autorità di regolazione ma anche, mi auguro, da precise scelte di politica industriale, potrebbe essere quello della nascita di un grande operatore di rete nazionale, di stampo europeo, con quote nelle mani di fondi di investimento pubblici e privati e con Rai e Mediaset lontanissime dalle quote di controllo o, meglio ancora, assenti dall’azionariato. Un operatore attivo nelle reti di broadcasting televisivo ma anche pronto a espandersi nelle reti mobili di nuova generazione, come i suoi concorrenti europei. Un operatore in grado di garantire il trasporto dei contenuti di tutti con regole stringenti di parità di accesso e di trasportare i contenuti del servizio pubblico così come quelli delle emittenti nazionali e locali con standard di qualità uniformi e garantiti. Un operatore, infine, che ponga fine a 30 anni di ‘guerra delle interferenze e dei Tar’ tra le emittenti televisive italiane e garantisca una voce sola ed affidabile nei tavoli di coordinamento internazionale. Sarebbe davvero una svolta storica.

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