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Skype, dall’ascesa al declino: lezioni per la prossima Big Tech europea



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Il servizio, ufficialmente chiuso da oggi 5 maggio 2025, è il simbolo della capacità dell’ecosistema del Vecchio Continente di creare unicorni. Limiti che sussistono ancora oggi. Per cambiare rotta servono riforme che favoriscano la crescita delle imprese tecnologiche. Alcuni elementi chiave da cui partire nell’analisi a firma di Enrico Noseda, Chief Innovation Advisor di Cariplo Factory, precedentemente Global Head of Product Business Development di Skype

Pubblicato il 5 mag 2025



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La notizia è di quelle destinate a segnare un passaggio d’epoca: il 5 maggio 2025 Skype verrà definitivamente disattivato, dopo essere stato lanciato dallo svedese Niklas Zennström e dal danese Janus Friis in un’estate di oltre venti anni fa e aver raggiunto una dimensione globale a cavallo degli anni Dieci, con centinaia di milioni di utenti attivi quotidianamente.

Ripercorrere la sua parabola, in questo particolare momento storico, può aiutare a comprendere i motivi profondi che hanno portato Skype a nascere, crescere e raggiungere una crescita esponenziale partendo dall’Europa con founder europei, salvo poi non riuscire a trovare le condizioni favorevoli per ‘rimanere’ un asset del vecchio continente. Più che un esercizio nostalgico, ripercorrere i principali momenti del successo – e dell’improvviso declino – di Skype può essere utile affinché la prossima “Big Tech” europea possa rimanere tale anche negli anni a venire.

Chiamate gratuite, in tutto il mondo: l’idea che ha cambiato la vita di centinaia di milioni di persone

Per farlo dobbiamo tornare indietro di almeno vent’anni, in un ufficio londinese in cui ero stato da poco assunto come General Manager di Skype per l’Italia: era il 2006 quando sentii per la prima volta il fondatore Niklas Zennström dichiarare al resto del team che le chiamate telefoniche sarebbero diventate, di lì a pochi anni, “gratuite, per tutti, in tutto il mondo”. Grazie a un sistema di chiamate online basate su un network peer-to-peer, Skype stava diventando per le telco quello che Napster era stato, solo pochi anni prima, per il settore musicale: uno strumento in grado di mettere in contatto direttamente tra loro persone scambiando dati peer to peer, servendosi solo di un computer e di una connessione a Internet.

Fin dai primi giorni del lancio, avvenuto nel 2003, Skype aveva radicalmente trasformato il modo in cui le persone si relazionavano le une alle altre. Se ritorno con la mente a quegli anni non posso fare a meno di ricordare gli ostacoli che gravavano su chiunque si trovasse nella mia stessa condizione di allora: quella di migrante, costretto a fare i conti con i costi esorbitanti delle chiamate internazionali per poter rimanere in contatto con la famiglia rimasta nel Paese d’origine. Skype, nella sua incredibile semplicità d’uso, ha permesso a centinaia di milioni di lavoratori, di studenti e ricercatori all’estero di rimanere in contatto gratuitamente, in tutto il mondo.

Oltre diecimila i download nel primo giorno, oltre 10 milioni gli utenti un anno dopo dal lancio, oltre 660 milioni appena qualche anno dopo, fino a raggiungere una quota di mercato del 40% delle chiamate internazionali del pianeta. Con l’introduzione delle video call nel dicembre 2005 Skype ha cambiato per sempre gli standard di comunicazione globali: di fronte a questi numeri esponenziali ho provato più e più volte la sensazione – nel mio ruolo di responsabile dello sviluppo nel mercato EMEA e, in seguito, del business development globale – di star cambiando in meglio la vita di un numero enorme di persone, ogni giorno, qualunque cosa decidessimo di fare. Effetto network, gratuità del servizio, estrema attenzione all’utilizzabilità del prodotto sono stati per anni le leve principali con cui Skype ha rinnovato dalle basi il mondo delle telco, senza mai diventare una “di loro”.

La mancata svolta mobile-first

Pur sperimentando continuamente nuovi servizi e pagamento o accessibili in modalità freemium, per anni l’unica fonte di ricavi costante di Skype sono rimaste le tariffe applicate sulle chiamate verso i numeri fissi e i cellulari, a una frazione del costo applicato dagli operatori tradizionali. In questo contesto, è stata proprio la decisione di aumentare i costi e accelerare la crescita dei ricavi che ha portato, nel giro di pochissimo tempo, alle prime difficoltà: i successivi proprietari dell’azienda hanno lavorato per trasformare un prodotto rivoluzionario in crescita esponenziale in uno strumento di guadagno immediato, senza riuscire a valorizzare nel lungo termine l’enorme vantaggio tecnologico e di customer base accumulato sugli altri competitor.

Venduta a eBay nel 2005 in quella che rappresentò la più grande acquisizione nel post “dot-com bubble”, a Silverlake Partners, Index Ventures e Andreessen Horowitz nel 2009 e infine a Microsoft nel 2011 per 8,5 miliardi di dollari, la società è andata incontro a un continuo e irreversibile declino. I repentini passaggi di proprietà nell’arco di pochi anni, con un orizzonte strategico via via più limitato ai risultati di breve periodo, ne hanno frustrato le ambizioni di crescita esponenziale e i processi di innovazione continua. Skype ha mancato l’appuntamento con la svolta “mobile-first” delle piattaforme digitali e la sua chiusura definitiva è diventata, a quel punto, solo questione di tempo. Io ero già uscito dall’azienda, dieci anni esatti dopo il mio ingresso.

In questo malinconico epilogo c’è una costante che spicca subito agli occhi: la continua, inesorabile fuga di asset lontano dall’Europa. Se fosse rimasta “europea”, Skype avrebbe potuto ragionevolmente aspirare a diventare la prima, vera Big Tech del continente, con un impatto significativo sui tempi e le modalità di sviluppo dell’intero ecosistema. Eppure, il travaso di capitali, dati e tecnologia al di là dell’Atlantico ha comunque lasciato dietro di sé un’eredità che sarebbe sbagliato ignorare o sottovalutare: la legacy di Skype in Europa ha contribuito, attraverso l’effetto di cross fertilization, alla nascita di oltre 900 startup create dai suoi ex dipendenti, di cui alcune diventate in seguito unicorni.

Che cosa accadrebbe se una nuova Skype dovesse rinascere oggi?

Skype è la dimostrazione che nulla deve essere dato per scontato, o irrimediabilmente perduto. Idee, talenti, intuizioni capaci di cambiare radicalmente la vita di milioni di persone possono nascere anche in Europa, e solo una serie di fattori impedisce a queste soluzioni di affermarsi senza essere costrette a emigrare altrove. Se Skype dovesse rinascere oggi, in un ipotetico 2025, troverebbe paradossalmente ancora molti degli ostacoli con cui si era dovuta scontrare venti anni fa: accesso limitato ai finanziamenti, mancata armonizzazione delle normative, scarsità di investitori privati disposti a investire su startup e scaleup europee.

Il mercato unico “incompleto”

In questo ipotetico scenario, Skype si troverebbe a operare in un mercato unico incompleto, dove le procedure di costituzione delle società, la tassazione e le modalità di assunzione del personale restano diverse da Paese e Paese, in attesa che prenda forma quel “28esimo regime” per le imprese europee annunciato nella Bussola della Competitività e a cui molti, oggi, guardano con attenzione. La semplificazione dei processi di IPO, la nascita di una Borsa europea per la tecnologia e le scaleup, le esenzioni fiscali e gli incentivi agli investimenti transfrontalieri, in questo contesto, sono tutti passi necessari affinché un’azienda del potenziale di Skype possa, in futuro, nascere e radicarsi in Europa.

Lo scenario di partenza, a pensarci bene, era tutto fuorché favorevole: Skype è nata in un momento storico in cui non esistevano gli smartphone, le persone non erano ancora abituate a usare il computer come strumento di comunicazione vocale, le risorse per il sostegno all’innovazione erano ancora più scarse rispetto ad oggi e l’onda lunga della bolla delle “dot-com” non si era ancora esaurita. Perché non dovrebbero nascere altre aziende europee dotate della stessa visione e della stessa capacità di crescita? Perché non dovremmo lavorare per consentire a queste aziende, e ai giovani che le realizzeranno, di costruirsi un futuro in Europa? L’augurio, che faccio prima di tutto a me stesso, è che questo 5 maggio non sia solo un giorno di ricordi, ma anche un primo passo per costruirne di nuovi.

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