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Unbundling, ecco la Raccomandazione Ue

Il Corriere delle Comunicazioni ha potuto visionare il documento che sarà inviato all’Agcom la prossima settimana. L’Europa invita a stabilire nuove tariffe al rialzo

Pubblicato il 06 Dic 2013

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Le voci circolate nell’ultimo mese hanno trovato piena conferma. A Bruxelles è ormai pronta in rampa di lancio l’attesa raccomandazione con cui la Commissione europea intima ad Agcom di rivedere o ritirare la delibera che fissa (al ribasso) i canoni di unbundling per il 2013. Il documento, che il Corriere delle Comunicazioni ha potuto leggere in anteprima, sarà inviato all’Authority italiana nel corso della prossima settimana. Ossia in coincidenza con la deadline del 12 dicembre entro la quale l’Esecutivo europeo era tenuto per legge a decidere se accantonare i “seri dubbi” palesati in agosto o viceversa tramutarli in una diffida ufficiale. Come largamente previsto, di fronte al muro opposto da Agcom alle obiezioni comunitarie nel corso di una tortuosa negoziazione durata tre mesi, Bruxelles ha scelto di inasprire il contenzioso, optando per la seconda strada.

“Tenuto conto che Agcom ha mantenuto inalterate le misure – si legge nella raccomandazione – la Commissione considera che i seri dubbi espressi nella sua precedente lettera sono ancora validi”. Il garante italiano è quindi invitato a stabilire nuove tariffe che consentano “all’operatore con significativo potere di mercato (vale a dire Telecom, ndr) di avere un ragionevole ritorno sugli investimenti fatti nel corso del tempo”. Nel mirino della Commissione è inoltre il Wacc – ovvero il costo del capitale – utilizzato per calcolare il prezzo finale dell’Ull. Agcom, secondo la Commissione, avrebbe dovuto rivederlo al rialzo, “come accaduto in paesi che hanno sperimentato sviluppi di mercato analoghi, quali Spagna, Portogallo e Irlanda”, anziché “mantenerlo inalterato sui livelli del 2010”. Con una chiara ricaduta negativa anche “nell’attrarre quegli investimenti in reti NGA di cui il paese ha disperato bisogno”.

Il Garante italiano ha adesso tempo sino al 12 gennaio per uniformarsi alle richieste della Commissione europea. Oltre questa deadline si spalanca un terreno disseminato di incognite. Sono in molti ormai, anche tra i corridoi della Commissione, a dare per certa l’apertura di una procedura d’infrazione come extrema ratio per far ravvedere il regolatore italiano. Anche perché la raccomandazione, pur possedendo una forte incidenza politica, non è nei fatti vincolante. Aprire una procedura ai danni di uno stato membro sulla scorta di una decisione assunta da un’autorità indipendente rappresenterebbe nondimeno una prima assoluta, che farebbe la delizia delle accademie. Eppure, giurano alcuni eurofunzionari, i servizi giuridici comunitari sarebbero in grado di tirare fuori dalla cornucopia del diritto europeo uno o più cavilli per giustificare un’azione legale. Se poi la Commissione avrà il tempo, e solide argomentazioni giuridiche, per adire la Corte di Giustizia europea è però un altro paio di maniche, tenuto conto che il mandato della Kroes volge rapidamente al termine (in ottobre 2014).

La verità è che, per quanto minaccia di essere combattuta a suon di interpretazioni regolamentari, la guerra fredda tra Bruxelles e Agcom – che per ragioni analoghe vede coinvolti anche i regolatori di Austria ed Estonia – ha prima di tutto una motivazione politica. A rilanciare questa impressione, ampiamente confermata dagli osservatori, è anche un bollettino di J.P. Morgan circolato proprio stamane. Secondo la banca d’investimenti statunitense “la Commissione europea starebbe sistematicamente cercando opportunità per migliorare le condizioni degl’incumbent europei”. E proprio per questa ragione “avrebbe deciso di inasprire la propria posizione nei contenziosi con Austria e Italia sui canoni dell’ULL”.

Non è infatti un mistero che la Kroes sia persuasa della necessità di far convergere i prezzi dell’Ull di tutti gli stati membri, come per altro indica una Raccomandazione sulle metodologie di determinazione dei costi emanata poco tempo fa, per rimettere in moto la dinamica degli investimenti in nuove reti. Dall’altro, però, i regolatori leggono questi indirizzi come un’usurpazione alla propria indipendenza, che come ha segnalato a più riprese il Berec non terrebbe conto delle diverse circostanze nazionali.

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