La guerra fra Tlc e Over the top? Magari non subito, ma verrà superata. Uno dei driver del calumet della pace saranno i video online: la loro crescente diffusione (entro il 2018 i bit che attraverseranno l’Internet consumer saranno costituiti per il 79% da video, secondo MarketsandMarkets) è destinata a far nascere un ecosistema in cui piattaforme distributive e reti troveranno modelli convergenti di business. Le leve sono molteplici: tecnologie evolute di rete, server sempre più intelligenti, ma anche nuovi scenari regolatori – vedi alla voce net neutrality – in grado di accompagnare il fenomeno. Lo dice Francesco Vatalaro, professore ordinario di Telecomunicazioni all’Università di Roma Tor Vergata, mettendo a fuoco il fenomeno Netflix in questi giorni al centro dell’attenzione a seguito di uno studio pubblicato da un team di ricercatori inglesi – ne ha parlato CorCom – che per la prima volta svela la dislocazione dei server con cui la società californiana consegna in tutto il mondo (o quasi) il proprio maxi-catalogo di serie tv e film.
Professore, lei ha letto lo studio inglese: cosa ne pensa?
L’originalità del documento trovo che stia nell’aver individuato larga parte, o persino tutti i server di Netflix. Da questo punto di vista un contributo interessante perché si tratta di un’informazione proprietaria, non di dominio pubblico. Gli autori spiegano di avere “fotografato” la mappa attraverso software che consentono di fare un’interrogazione dei server. Che si dividono sostanzialmente in due categorie: quelli collocati negli Internet Exchange Point – i nodi di interscambio tra i sistemi autonomi di Internet – e quelli che invece si trovano all’interno delle reti dei provider, gli Isp che, in questo contesto, includono le reti di accesso dei telco. Detto questo, non emerge con evidenza il motivo per cui Netflix fornisce all’utente finale la qualità dell’esperienza – piccoli tempi di latenza e perdita di pacchetti, qualità HD, ecc. – che lo contraddistingue rispetto ad altre piattaforme. Non basta, a comprenderlo, l’identificazione della collocazione dei server.
Dallo studio emerge che la funzione assolta dai server negli Ixp sia “complementare” a quelli allocati all’interno della rete…
Ecco, questa è una semplificazione che non coglie la sostanza della questione. I server all’interno degli Ixp per Netflix sono spesso un ripiego: se potesse, infatti, collocherebbe una frazione maggiore dei server nelle reti di accesso, vicino al cliente finale. Questo perché quello che conta fondamentalmente, nella qualità del servizio video offerto, è la latenza, il cosiddetto Round Trip Time. Un fattore cruciale perché a parità di banda determina la funzionalità di certi protocolli. Se il server è lontano, dunque in condizioni di grande latenza, e la banda è anche stretta, la qualità dell’esperienza del cliente è scarsa. Ma se il server è vicino, anche con poca banda – entro certi limiti, s’intende -la qualità può essere buona.
Allora perché Netflix non mette tutti i suoi server dentro le reti degli operatori?
Mi risulta che Netflix provi a stringere accordi commerciali con gli operatori d’accesso, ma non sempre ci riesce. Anche in Europa mi sembra che alcuni operatori abbiano negato questa possibilità. Questo perché gli operatori sanno che la rete è un loro asset strategico e, correttamente a mio parere, evitano di condividerla se non ne vengono obbligati. In particolare, nel caso di Netflix e degli altri Ott, cercano di ottenere un ritorno economico dalla fornitura del servizio dell’infrastruttura di cui dispongono mettendo in atto un modello del tipo piattaforma a due versanti. In questo modello economico, il telco non solo viene pagato dal cliente finale per la fornitura del servizio di accesso, ma anche dall’Ott per l’incremento della qualità. Qui arriviamo a un altro punto: molti operatori d’accesso hanno capito che la qualità è la chiave: non la “vecchia” QoS, la qualità del servizio agli strati più bassi della pila protocollare, ma la QoE, ossia la qualità dell’esperienza che viene percepita dal cliente che implica l’intervento fino al livello applicativo. Quindi preferiscono migliorare essi stessi la qualità della loro rete, invogliando così gli Over the Top a pagare per la qualità effettivamente percepita. Ecco, dunque, che con il tempo si affermeranno sempre più questi nuovi modelli di business, destinati a modificare profondamente la struttura della Internet che conosciamo.
Esattamente su cosa si basano?
Dal punto di vista economico è piuttosto semplice. Se l’Ott, che misura indipendentemente dal telco il grado di soddisfazione del proprio cliente finale, lo ritiene conveniente, retrocede all’operatore una piccola quota della propria revenue, derivante dal pagamento del film o dall’abbonamento di quel cliente. Secondo questa logica di business, di solito il telco realizza ritorni maggiori che dal mero affitto di spazio fisico all’Ott. Se viceversa il telco apre le porte della propria rete all’Ott, questi non avrà bisogno della qualità offerta dall’operatore d’accesso: i termini del contratto a quel punto cambiano e diventano meno favorevoli all’operatore.
E questa qualità l’operatore come può assicurarla al cliente di Netflix?
L’operatore può intervenire intervenendo esso stesso a un livello protocollare nella propria rete che si trova al di sopra del pacchetto IP, cioè a livello di trasporto e a livello applicativo. Si tratta di inserire organi di rete intelligenti che leggono la sola intestazione del pacchetto IP: la transparent cache, un sottosistema sofisticato che memorizza una “copia” dei contenuti più popolari. La cache è così in grado di intercettare la richiesta dell’utente, verificare in real time se il contenuto è presente e fornirlo direttamente all’utente dall’”interno della rete” dell’operatore d’accesso, quindi: senza inviare la relativa richiesta a server remoto di Netflix. In questo modo il RTT viene ridotto e la qualità soggettiva assicurata.
In questo modo l’operatore di rete fa una parte del lavoro di Netflix?
Sì, è un servizio che rende a Netflix, permette cioè alla piattaforma di quell’Ott di servire in maniera efficace il proprio cliente, cosa che non avverrebbe se venisse servito dalla sede del più vicino nodo di interscambio. Certo, se l’Ixp è a Roma e anche l’utente si trova a Roma la qualità può essere adeguata anche senza la collaborazione del Telco. Ma questo può non bastare se, poniamo, il più vicino nodo di interscambio e sempre a Roma ma l’utente è ad esempio a Reggio Calabria. In questo caso, se l’operatore di rete mette a disposizione di Netflix la cache trasparente nei pressi del cliente, si realizza lo scenario “win-win” di cui si è detto.
Tutto questo viene permesso dalla net neutrality?
Sì, alla fine dopo un lungo e complesso dibattito è stato chiarito sia dalla Federal Communication Commission americana che dall’Europa. La Net neutrality regolamenta fino al “livello 3” della rete, quello del trasporto dei pacchetti: si deve garantire che sia servito per primo il primo pacchetto che richiede la consegna. Non si può, cioè, discriminare un pacchetto rispetto a un altro in funzione dell’origine, della tipologia, se video o messaggio, o della destinazione. Ciascuno sarà servito, rigorosamente, in base all’ordine di arrivo. Ma il punto centrale, che si è finalmente compreso, è che non servono le “corsie parallele” per i pacchetti in rete (qui ogni paragone con il traffico stradale perde ogni valore). Ciò che dà beneficio è quello che l’operatore può fare ai livelli protocollari superiori – e qui sta il tema non solo di Netflix, ma anche delle reti del futuro. La chiave è operare i trattamenti dei segnali e dei contenuti dove ciò risulta più efficace.
Le dinamiche fra telco e Ott possono cambiare.
Sì, senz’altro. È interessante vedere come Internet stia evolvendo all’interno dello scenario del pieno rispetto delle regole della net neutrality: perché l’elaborazione allo strato applicativo, quello dei contenuti di “livello” pregiato, rispetta alla lettera il principio della net neutrality. Di fatto assisteremo sempre più rapidamente all’evoluzione delle reti fisse e mobili degli operatori d’accesso in questa direzione. In questo senso anche la competizione tra Tlc e Ott viene superata: entrambi i soggetti tendono a diventare parte di un ecosistema che opera in maniera più sinergica.