SUNDANCE FILM FESTIVAL

Google, privacy sotto accusa in un documentario

In “Terms and conditions may apply”, il regista Hoback Cullen contesta l’uso dei cookie. “Presto le connessioni potrebbero non essere più anonime”. Nessuna replica da BigG

Pubblicato il 23 Gen 2013

Luciana Maci

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Google ci sta spogliando sempre più della nostra privacy: lo sostiene un documentario sul colosso di Mountain View proiettato in questi giorni al Sundance Film Festival, rassegna del cinema indipendente ideata da Robert Redford che si svolge ogni anno a Salt Lake City (Utah).

Intitolata “Terms and conditions may apply” (”Termini e condizioni eventuali da richiedere”), l’opera diretta da Hoback Cullen è incentrata sull’evoluzione nel tempo della privacy policy, peraltro conservate in un archivio che l’azienda ha messo online a disposizione di tutti gli utenti. La tesi del regista è che, con gli anni, si è perso l’originario tabù per cui i cooky installati dal motore di ricerca potevano segnalare quante volte un medesimo computer si collegava senza attribuire alla macchina un nome e cognome. Oggi dovrebbe essere ancora così, ma, a quanto emerge dal documentario, tutto sembra costruito perché le connessioni non siano anonime. Servizi quali Google+ o “Search, plus your world” permettono a BigG di perfezionare il nostro identikit, consentendo così agli inserzionisti di propinarci messaggi pubblicitari sempre più tagliati su misura per ogni utente.

Cullen sostiene che Google è partita con il piede giusto sulla tutela dei dati personali, ma aggiunge che “quando i margini di profitto sono in diretta opposizione con i principi, a volte quei principi soffrono”. Per il momento dal re dei motori di ricerca non è arrivato alcun commento ufficiale.

D’altra parte il documentario fa intendere che, se Google, Facebook o Microsoft si stanno avviando su una strada che limiterebbe sempre più la privacy dell’utente, una parte di responsabilità è da addebitare anche al governo statunitense. In particolare il Patriot Act, legge votata all’indomani dell’11 settembre 2001, avrebbe contribuito alla perdita dell’anonimato su Internet, ovviamente a fini anti-terroristici.

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