La novità è destinata a far discutere. Poste Italiane, che gestisce oltre il 70% delle identità digitali attive in Italia tramite PosteID, starebbe valutando l’introduzione di un canone annuo di 5 euro per lo Spid. Su un bacino di circa 20 milioni di identità, il potenziale impatto sarebbe di 100 milioni di euro di Ebit addizionali. Una cifra significativa, che segna una svolta nella gestione di uno strumento nato sotto il segno della gratuità e della diffusione capillare.
La mossa di Poste non arriva nel vuoto: Aruba è stato il primo provider a introdurre un canone, pari a 4,90 euro più Iva all’anno, seguito a ruota da InfoCert, che dal 28 luglio 2025 ha imposto una tariffa di 5,98 euro Iva inclusa. Poi è stata la volta di Register.it che ha introdotto una fee annuale di 9,90 euro. È stato il segnale che il modello economico alla base dello Spid non è più sostenibile.
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Aruba e Infocert, via al modello a pagamento
Per comprendere la portata della scelta di Poste, bisogna guardare a ciò che è già accaduto. Aruba e InfoCert hanno rotto il tabù della gratuità, dichiarando apertamente che non è più possibile mantenere un servizio di questa portata senza forme di remunerazione diretta.
InfoCert ha chiarito, al momento dell’annuncio che il servizio sarebbe stato a pagamento, che il rinnovo non è automatico: al cittadino viene richiesto consenso esplicito. In caso di mancata adesione, il servizio viene sospeso per 60 giorni e poi disattivato. La società ha ricordato di aver garantito lo Spid gratuitamente per dieci anni, contribuendo alla digitalizzazione del Paese, ma oggi – senza fondi pubblici certi – il modello non regge.
Anche Aruba aveva sottolineato la stessa esigenza: i costi di gestione, sicurezza e manutenzione sono elevati e l’assenza di un finanziamento stabile da parte dello Stato impone scelte drastiche.
La fine della gratuità e il nodo dei fondi pubblici
Il nodo è legato alle convenzioni con lo Stato. Alla fine del 2022 i contratti tra AgID e i provider sono scaduti e sono stati prorogati fino all’aprile 2023. Il finanziamento di 40 milioni di euro previsto dal Pnrr è arrivato solo a marzo 2025, con un ritardo che ha lasciato i gestori nell’incertezza per oltre due anni.
In questo vuoto, i provider hanno deciso di agire in autonomia. Anche se le risorse pubbliche sono state finalmente sbloccate, i principali operatori hanno chiarito che non intendono tornare indietro: il modello a pagamento è qui per restare. È un cambio di paradigma che mette in discussione il rapporto stesso tra cittadino e servizi digitali pubblici.
Il peso di Poste
L’ipotesi di Poste di introdurre un canone assume un peso particolare perché oltre il 70% delle identità Spid attive è gestito dal suo servizio PosteID. Finché Poste ha mantenuto la gratuità, l’impatto sui cittadini è stato contenuto. Ma se anche il colosso guidato da Matteo Del Fante dovesse cambiare rotta, lo scenario cambierebbe radicalmente.
Il futuro delle convenzioni
Le prossime scadenze contrattuali renderanno ancora più delicata la situazione. Le convenzioni attuali scadono a ottobre 2025 e il periodo di revisione è già iniziato. Il governo però sta puntando soprattutto sulla Cie (Carta di idfentità elettronica) per rispettare i target Pnrr: entro giugno 2026 il 70% degli italiani deve disporre di un’identità digitale.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: oltre 40,5 milioni di credenziali già attivate. Ma è altrettanto chiaro che la direzione di marcia del governo, con il sottosegretario Alessio Butti, punta a convergere su un sistema unico nazionale, incentrato sulla Carta d’Identità Elettronica e sull’IT-Wallet.
Cie e IT-wallet, i pilastri del governo
Nei piani del sottosegretario all’Innovazione, Alessio Butti, è Carta d’Identità Elettronica (Cie) è destinata a diventare l’asse portante dell’identità digitale italiana. Con governance pubblica, costi stabili e maggiore uniformità, la Cie rappresenta una risposta più sostenibile rispetto a un sistema ibrido.
I numeri confermano la crescita: da 5,5 milioni di attivazioni nel maggio 2024 a 7,3 milioni nel maggio 2025. L’obiettivo è progressivamente superare il dualismo con lo Spid, portando tutto nell’IT-Wallet, che già oggi raccoglie altri documenti digitali come patente, tessera sanitaria e carta europea della disabilità.
In un recente intervento Butti ha sottolineato come l’IT Wallet sia uno strumento che apre la strada a uno “Stato abilitante”.
“Uno Stato che non aspetta la domanda ma “attiva il diritto al verificarsi di un determinato evento – ha spiegato – Ad esempio, alla nascita di un figlio scattano automaticamente anagrafe, pediatra, bonus, inserimento in Fse. La trasformazione digitale della PA non è ‘mettere moduli online’. Attraverso la digitalizzazione, stiamo ridisegnando i servizi attorno alla persona. Proattività e sicurezza dei dati sono il nostro standard.”
“Con il Wallet non chiediamo ai cittadini di caricare documenti che lo Stato già possiede, li attiviamo direttamente dopo aver ricevuto il loro assenso – ha proseguito – In nove mesi oltre 10 milioni di documenti: meno burocrazia, più fiducia. Stiamo trasformando il digitale in un servizio, non in un ulteriore adempimento a carico dei cittadini”.