La Russia si prepara a un possibile blocco totale di Telegram, l’app di messaggistica più popolare del Paese con oltre 100 milioni di utenti attivi. A lanciare l’allarme è la stessa autorità nazionale per le telecomunicazioni, Roskomnadzor, che ha annunciato di aver iniziato a “limitare parzialmente” il funzionamento della piattaforma fondata da Pavel Durov, il cui rapporto con il Cremlino è sempre stato conflittuale.
La notizia ha scosso l’intero settore delle telecomunicazioni, perché anche WhatsApp, con i suoi 90 milioni di utenti russi, è stata coinvolta nelle stesse misure restrittive. La motivazione ufficiale, ancora una volta, è la lotta alle frodi online. Tuttavia, la formulazione volutamente vaga della nota diffusa da Roskomnadzor lascia intendere che dietro la giustificazione di sicurezza si nasconda un progetto di controllo più ampio.
“Per combattere i criminali, vengono adottate misure per limitare parzialmente il funzionamento delle app di messaggistica”, recita il comunicato. Ma nessuno, al momento, sa cosa significhi davvero “limitazione parziale”: può trattarsi di un rallentamento del traffico dati, di blocchi regionali o addirittura di una sospensione totale dei servizi, come già accaduto per YouTube, oggetto di restrizioni sistematiche da oltre un anno.
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Dalle chiamate ai messaggi: restrizioni sempre più pervasive
Le limitazioni alle comunicazioni digitali non sono un fenomeno nuovo in Russia. Già da agosto 2025, Roskomnadzor aveva imposto il blocco delle chiamate audio e video su Telegram e WhatsApp, ufficialmente per arginare truffe e attività criminali.
Da allora, la situazione è progressivamente peggiorata. Il 20 ottobre sono cominciati i blackout anche per la messaggistica testuale e multimediale: gli utenti hanno segnalato lentezza, disconnessioni improvvise, problemi di caricamento di immagini e video. In alcune regioni, le app risultano completamente inaccessibili, anche con l’uso di una VPN, strumento fino a poco tempo fa considerato l’ultima difesa contro la censura digitale.
Il fenomeno non si limita più a singole città: in oltre trenta regioni, inclusa quella di Mosca, le comunicazioni digitali risultano fortemente compromesse. Ciò che inizialmente sembrava una misura temporanea si sta trasformando in una vera e propria strategia di disconnessione selettiva, in cui il controllo delle telecomunicazioni diventa un’estensione del potere politico.
“Una ripetizione dello scenario YouTube”
A delineare il quadro più inquietante è Mikhail Klimarev, direttore dell’Internet Defense Society, che definisce quanto sta accadendo “una ripetizione letterale dello scenario di YouTube”. Secondo l’esperto, il blocco totale di Telegram potrebbe diventare realtà entro dicembre o gennaio.
Klimarev stima che la disponibilità di Telegram e WhatsApp sia già calata del 50%, e che persino Signal, piattaforma nota per la sua sicurezza, abbia cominciato a riscontrare problemi di accesso. Il processo di limitazione, spiega, avviene in modo graduale e imprevedibile, colpendo prima le reti fisse e poi quelle mobili, in modo da rendere difficile per gli utenti trovare soluzioni tecniche alternative.
“Le app saranno lentamente limitate”, avverte, “fino a diventare quasi inutilizzabili. Le restrizioni cresceranno di frequenza e intensità, fino a rendere l’uso della messaggistica istantanea un lusso”.
Questo approccio frammentario, ma sistematico, crea un effetto psicologico di incertezza, dissuadendo molti cittadini dal tentare di aggirare le restrizioni. Il risultato è una rete più controllabile, dove la comunicazione libera perde efficacia.
Il ritorno del controllo statale sulle telecomunicazioni
Dietro la narrativa ufficiale di “sicurezza e prevenzione delle frodi”, si nasconde un obiettivo politico: riportare le comunicazioni digitali sotto il pieno controllo statale. In un contesto geopolitico sempre più chiuso, la Russia sta accelerando la sua strategia di “sovranità digitale”, mirata a costruire un ecosistema informativo isolato, dove ogni flusso di dati passa per canali approvati dal Cremlino.
Il passo successivo sembra essere la promozione di “Max”, una super app di messaggistica e servizi sviluppata in Russia e supervisionata da enti pubblici. L’obiettivo è chiaro: spostare gli utenti dalle piattaforme indipendenti a quelle nazionali, garantendo così un controllo diretto non solo sui contenuti, ma anche sui comportamenti digitali dei cittadini.
Molti esperti interpretano questa mossa come la fine della libertà di comunicazione privata in Russia, un processo che era cominciato con la stretta sulle VPN e sui media indipendenti e che ora tocca il cuore delle telecomunicazioni personali.
Tra repressione e resistenza tecnologica
Nonostante le restrizioni, molti utenti continuano a cercare vie di fuga digitali, affidandosi a reti decentralizzate, app alternative e strumenti di crittografia avanzata. Tuttavia, il margine di libertà si restringe giorno dopo giorno.
La progressiva chiusura del cyberspazio russo rappresenta una minaccia per l’intero ecosistema delle telecomunicazioni globali, poiché rischia di creare un precedente: quello di una rete frammentata, dove i confini politici tornano a definire la connettività.
Mentre Telegram e WhatsApp resistono a fatica, la Russia sembra determinata a costruire un Internet “a misura di Stato”, dove tutto ciò che sfugge al controllo centrale viene oscurato o rallentato.
Conclusione: il futuro incerto delle comunicazioni in Russia
La vicenda di Telegram e WhatsApp segna una nuova fase nella guerra delle telecomunicazioni in Russia. L’obiettivo, sempre più evidente, non è solo limitare le frodi, ma restringere gli spazi di comunicazione libera.
In un Paese dove le linee tra sicurezza nazionale e controllo politico si fanno sempre più sottili, la rete diventa il nuovo campo di battaglia per la libertà d’espressione. E se il blocco totale dovesse davvero entrare in vigore entro il nuovo anno, la Russia rischierebbe di isolarsi ulteriormente, trasformando la sua infrastruttura digitale in un apparato di sorveglianza di massa.