Sensori “green“, energeticamente autonomi e piccoli come una monetina per reti wireless e monitoraggi in tempo reale di infrastrutture e rischi ambientali. Sono il risultato del progetto MetaVeh (Metamaterial enabled vibration energy harvesting), appena concluso e finanziato con 4 milioni di euro nell’ambito di Horizon 2020 “Pillar 1 – Excellent Science”, con una call per contribuire a ridurre le emissioni di CO2.
La ricerca è stata portata a termine da un consorzio di tre atenei: il capofila Zhaw Zurich, Imperial College London e il Politecnico di Milano, insieme a Multiwave Technologies e a STMicroelectronics. Tra le applicazioni possibili, anche quelle per le telecomunicazioni 6G.
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MetaVeh, sensori green per il monitoraggio delle infrastrutture
L’idea di partenza è stata quella di sfruttare il passaggio di veicoli su architetture come ponti, autostrade e le conseguenti vibrazioni prodotte, per alimentare gli stessi sensori adibiti al loro monitoraggio strutturale.
I sensori sono oggi ampiamente utilizzati e spesso difficili (o impossibili) da raggiungere per il ricambio di batterie, poiché posizionati in punti scomodi, magari in cima a un’antenna o sulle travi di un viadotto. La sfida è stata, dunque, realizzare un dispositivo di dimensioni ridotte, e risolvere il problema dell’alimentazione energetica necessaria ai sensori sia per il funzionamento, sia per la trasmissione di dati, limitando così lo spreco di batterie – e l’impatto ambientale dello smaltimento di quelle esauste.
Le frontiere: energy harvesting e rainbow trapping
Il prototipo messo a punto da MetaVeh, dopo quasi cinque anni di studi, si basa sul concetto di “energy harvesting”, ovvero l’utilizzo dell’energia disponibile nell’ambiente sotto forma di vibrazioni attraverso l’impiego di materiali piezoelettrici che consentono, appunto, di convertire l’energia meccanica in energia elettrica.
Quelli più efficaci e finora comunemente impiegati nei sensori già esistenti, però, contengono piombo, elemento tossico per l’ambiente: durante il progetto sono stati sviluppati e validati, invece, materiali piezoelettrici “green” e privi di terre rare, avvalendosi di un elemento standard e di facile reperibilità come il nitruro di alluminio.
Contestualmente, è stata sviluppata la tecnologia per produrre metamateriali meccanici – materiali appositamente “ingegnerizzati” per avere determinate proprietà e reazioni – in grado di manipolare la propagazione delle onde elastiche, amplificando notevolmente le prestazioni degli energy harvester. I metamateriali così ideati, e realizzati con tecniche innovative di stampa 3D, presentano una particolare gradazione delle proprietà meccaniche, in virtù della quale sono in grado di “catturare” l’onda che li attraversa, forzandola a concentrarsi dove è posizionato il materiale piezoelettrico – un fenomeno denominato “rainbow trapping”.
Il Politecnico di Milano protagonista del progetto
La tecnologia messa a punto per l’ingegnerizzazione dei metamateriali è stata brevettata da Imperial College London e Politecnico di Milano. Ciò ha permesso di prototipare gli energy harvester su varie scale, fino a giungere alla scala Mems (Micro-electro-mechanical systems): il dispositivo concepito è un oggetto lungo complessivamente 300 micron, ovvero meno di mezzo millimetro, e sta tutto dentro una moneta da 1 centesimo.
“Con MetaVeh abbiamo provato che gli harvester di energia vibrazionale possono passare dalla teoria a una piattaforma multisensore completamente autonoma”, afferma Andrea Colombi, docente presso Zhaw Zurich e coordinatore di MetaVeh.
“Noi ci occupiamo di meccanica strutturale ad ampio spettro, specialmente su questo tipo di sensori”, ha commentato Raffaele Ardito, docente del Dica – Dipartimento di ingegneria civile e ambientale e coordinatore di MetaVeh per il Politecnico di Milano, “e con i colleghi del Dipartimento di Meccanica di ateneo abbiamo lavorato molto per trovare un’alternativa green. Così, a fine progetto, abbiamo a disposizione un prototipo che è un energy harvester su scala micro con materiale piezoelettrico senza piombo, né terre rare, quindi neutro da un punto di vista etico e di sostenibilità ambientale”.
6G tra le applicazioni pratiche dei sensori green
Moltissime le potenzialità per l’applicazione pratica, in due campi in particolare: come risonatori ad altissima qualità per telecomunicazioni 6G, e come sensori autonomi per il monitoraggio dell’integrità strutturale e dei rischi ambientali. Raccogliendo l’energia dalle vibrazioni ambientali, questi dispositivi possono essere impiegati in zone inaccessibili, riattivandosi solo quando necessario e trasmettendo dati in tempo reale per salvaguardare le infrastrutture.
Per esempio, potrebbero fornire segnali di preallerta per movimenti indotti da terremoti, instabilità del suolo o danni da logoramento in strutture critiche come ponti e gallerie.
Per il progetto, STMicroelectronics ha realizzato prototipi su scala micrometrica integrando materiali piezoelettrici senza piombo direttamente nel processo di fabbricazione dei Mems. Questa innovazione ha migliorato l’efficienza nella conversione dell’energia meccanica in energia elettrica e ha aperto la strada a nuove applicazioni potenzialmente utili nei settori delle comunicazioni 6G e dell’Internet of things (IoT).