“Le Content Delivery Network sono un’infrastruttura abilitante della trasformazione digitale, non il grimaldello per introdurre corrispettivi di utilizzo della rete a carico dei fornitori di contenuti e, in ultimo, degli utenti”. Con queste parole, la deputata e vicepresidente di Azione Giulia Pastorella ha aperto il fronte politico contro la delibera Agcom n. 207/25/CONS, approvata il 30 luglio 2025, che ricomprende le CDN nel perimetro delle reti di comunicazione elettronica.
La parlamentare ha annunciato un’interrogazione al Ministero delle Imprese e del Made in Italy e alla Presidenza del Consiglio, chiedendo al Governo di chiarire se l’estensione del regime di autorizzazione generale possa tradursi in una “network usage fee” diretta o indiretta, con possibili effetti distorsivi sulla concorrenza e un aumento delle bollette digitali per famiglie e imprese.
“Azione difenderà concorrenza, innovazione e neutralità della rete: no a tasse d’accesso occulte, che frenano gli investimenti in cloud e intelligenza artificiale. Sì alla massima tutela per i consumatori. Il Governo faccia chiarezza e garantisca certezza del diritto al sistema Paese”, ha aggiunto Pastorella.
Indice degli argomenti
Cosa prevede la delibera Agcom
Con la delibera 207/25/CONS, Agcom ha deciso di estendere il regime di autorizzazione generale previsto dall’articolo 11 del Codice delle comunicazioni elettroniche anche ai fornitori di Content Delivery Network e ai Content and Application Provider (CAP) che gestiscono infrastrutture di caching sul territorio nazionale.
Secondo l’Autorità, le CDN — infrastrutture distribuite che migliorano la velocità e l’efficienza nella distribuzione dei contenuti digitali — rientrano nella definizione di “rete di comunicazione elettronica” poiché costituiscono apparati attivi che trasmettono segnali attraverso fibre ottiche.
La misura, di natura “pre-regolamentare”, non introduce nuovi oneri diretti ma impone ai gestori di CDN di ottenere un’autorizzazione, esattamente come gli operatori di telecomunicazioni.
Agcom precisa che l’obiettivo è armonizzare il quadro regolatorio e garantire trasparenza e vigilanza su un segmento tecnologico sempre più strategico, evitando disparità tra attori che operano nella stessa catena di valore. La delibera, tuttavia, si colloca in un momento cruciale: a Bruxelles è in corso la discussione sul Digital Networks Act, che ridefinirà il quadro europeo delle reti digitali.
Le motivazioni dell’Autorità
La decisione trae origine dalla consultazione pubblica avviata a marzo 2025 (delibera n. 55/25/CONS), in parte ispirata dal caso DAZN Edge, la rete di distribuzione video del broadcaster sportivo.
L’Agcom aveva già rilevato che il sistema CDN di DAZN, basato su server installati nelle reti degli operatori, svolgeva funzioni assimilabili a una rete di comunicazione elettronica.
Con la delibera di luglio, l’Autorità ha quindi voluto uniformare il regime autorizzatorio per tutti i soggetti che operano infrastrutture simili, superando una frammentazione normativa che rischiava di creare squilibri competitivi.
Agcom ha ribadito che le CDN “contribuiscono alla trasmissione di dati accessibili al pubblico a livello infrastrutturale” e che la regolazione consentirà di vigilare efficacemente su un anello cruciale della catena tecnologica, migliorando qualità, sicurezza e resilienza delle reti.
Le voci favorevoli: le telco e Asstel
Le principali associazioni della filiera Tlc hanno accolto con favore la decisione. Asstel-Assotelecomunicazioni, che rappresenta il settore in Confindustria, ha definito la delibera “un passo nella giusta direzione”, utile a creare “una parità di condizioni regolamentari tra tutti gli attori dell’ecosistema digitale”.
L’associazione sottolinea che i CDN provider hanno assunto un ruolo sempre più rilevante come intermediari nella gestione dei contenuti e che il loro inserimento nel Codice delle comunicazioni elettroniche è “coerente e necessario”.
Per Asstel, si tratta di un segnale importante anche in vista del Digital Services Act, volto a garantire regole uniformi per l’intero ecosistema digitale europeo.
In sintesi, le telco leggono la mossa di Agcom come un riequilibrio regolamentare atteso da tempo, volto a riconoscere la funzione infrastrutturale dei grandi fornitori di contenuti.
Le critiche: associazioni tech e consumatori in allarme
Molto diverso il giudizio delle associazioni tecnologiche e dei consumatori, che hanno firmato un appello congiunto al Governo — tra cui Business Software Alliance, CCIA, Euroconsumers, Altroconsumo, InnovUp e ITI — definendo la delibera Agcom una “tassa sull’uso della rete”.
Secondo queste organizzazioni, l’estensione del Codice europeo alle CDN costituirebbe una “ingiustificata estensione dell’ambito di applicazione” e aprirebbe la strada a compensi imposti dai grandi operatori per la distribuzione di contenuti già pagati dagli utenti finali.
Le associazioni denunciano che il provvedimento rischia di introdurre una network usage fee mascherata, in violazione degli impegni UE-USA del 2025, che escludevano ogni tipo di tariffa d’uso delle reti.
La lettera indirizzata a Giorgia Meloni, Adolfo Urso e Alessio Butti chiede al Governo di bloccare l’attuazione della delibera “per promuovere l’innovazione e preservare l’allineamento con gli impegni europei”.
Il nodo della “network fee” e lo studio Plum
Uno dei punti più controversi riguarda il meccanismo di risoluzione delle controversie previsto dall’articolo 26 del Codice.
Secondo uno studio di Plum Consulting, “tale meccanismo verrebbe utilizzato dagli operatori di telecomunicazioni come strumento per imporre compensi per la distribuzione di contenuti già richiesti e pagati dagli utenti finali, costituendo di fatto una network fee attraverso lo strumento regolatorio”.
La Computer & Communications Industry Association (CCIA) ha avvertito che la scelta italiana crea “un pericoloso precedente” destinato a propagarsi nel resto d’Europa, anticipando gli effetti del futuro Digital Networks Act.
“Quello che accade in Italia è il primo atto di un’opera che potrebbe presto estendersi a tutta l’Ue”, ha dichiarato Maria Teresa Stecher, policy manager di CCIA Europe.
La preoccupazione è che la riclassificazione delle CDN possa portare a una “istituzionalizzazione del peering a pagamento”, minando il principio dell’internet aperto.
L’impatto sull’ecosistema digitale
Secondo i critici, l’approccio regolatorio italiano rischia di scoraggiare investimenti e innovazione, danneggiando soprattutto startup, PMI e industrie creative che si affidano a servizi CDN competitivi per operare online.
L’intervento, si legge nell’appello, “minerebbe l’architettura aperta di Internet e colpirebbe direttamente le imprese più dinamiche dell’economia digitale italiana”.
A rischio, secondo le associazioni, anche servizi pubblici essenziali — come sanità, finanza e pubblica amministrazione — che utilizzano CDN per garantire continuità operativa e sicurezza.
“La regolazione delle CDN non può trasformarsi in un cavallo di Troia per introdurre surrettiziamente una network fee”, sottolineano fonti parlamentari vicine ad Azione.
Verso il Digital Networks Act: una questione europea
La delibera Agcom si inserisce in un contesto europeo in evoluzione, con la Commissione impegnata a definire il Digital Networks Act, il nuovo pilastro normativo che sostituirà l’attuale Codice delle comunicazioni elettroniche.
Il DNA punta a armonizzare le regole e sostenere la competitività delle reti europee, ma l’interpretazione italiana potrebbe rappresentare un’anticipazione dei conflitti che si profilano tra telco e OTT, tra esigenze di investimento e tutela dell’internet aperto.
In questo quadro, l’intervento politico di Pastorella assume una valenza più ampia: quella di garantire certezza del diritto e neutralità tecnologica, evitando che la regolazione nazionale precorra — o forzi — il dibattito comunitario.



































































