La corsa ai data center spaziali è entrata in una fase decisiva. Non si tratta più di un’ipotesi futuristica, ma di un segmento industriale emergente che promette di rivoluzionare il cloud e l’elaborazione dati. Secondo il report Espi “Data Centres in Space: Orbital Backbone of the Second Digital Era?”, l’Europa rischia di perdere un’opportunità storica se non definisce subito una strategia. Usa e Cina stanno già investendo miliardi, mentre i colossi digitali – da Amazon a Google, passando per SpaceX e Alibaba – guardano all’orbita come soluzione per l’esplosione dei carichi di lavoro AI e per la crisi energetica dei data center terrestri. Il documento dell’European Space Policy Institute è chiaro: senza una roadmap ambiziosa, l’Ue resterà indietro in una partita che intreccia tecnologia, sostenibilità e sovranità digitale. E il tempo stringe.
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Perché i data center spaziali sono la nuova frontiera
Il mercato globale dei data center è destinato a raggiungere 535 miliardi di euro entro il 2030, trainato da AI, IoT e osservazione terrestre. Ma le infrastrutture terrestri mostrano limiti evidenti: costi energetici in crescita, vincoli di spazio e impatti ambientali. Eric Schmidt, ex ceo di Google, ha avvertito davanti al Congresso Usa: “Serviranno 67 gigawatt di nuova capacità entro il 2030, l’equivalente di 67 centrali nucleari”. In questo scenario, l’orbita offre vantaggi unici: energia solare continua, assenza di vincoli di suolo e possibilità di elaborare i dati alla fonte, riducendo la pressione sulle reti di downlink e migliorando la resilienza. Non è solo una questione di efficienza: è un cambio di paradigma. Portare il cloud nello spazio significa ridurre la dipendenza dalle risorse terrestri e aprire la strada a un’infrastruttura digitale più sostenibile.
Le evidenze del report Espi
Il report Espi analizza in dettaglio le motivazioni strategiche dietro la corsa agli Sbdc (Space-Based Data Centres). Primo punto: la crescita esponenziale dei carichi di lavoro AI e Hpc, che richiederanno capacità di calcolo senza precedenti. Secondo: la pressione ambientale. I data center terrestri consumano miliardi di litri d’acqua per il raffreddamento e generano tonnellate di e-waste. Terzo: la sicurezza. L’orbita consente di isolare fisicamente le infrastrutture critiche, riducendo il rischio di attacchi fisici e cyber. Il documento sottolinea che i data center spaziali non sostituiranno quelli terrestri, ma li integreranno in un modello ibrido, con elaborazione distribuita tra cloud terrestre e edge orbitale. Espi evidenzia anche le applicazioni immediate: osservazione terrestre, elaborazione AI per immagini satellitari, edge computing per missioni spaziali e storage sicuro per dati sensibili.
Gli attori globali e il gap europeo
Negli ultimi due anni, il settore ha visto una crescita esponenziale. Starcloud negli Usa ha lanciato il primo satellite con Gpu Nvidia H100, mentre la Cina ha inaugurato la costellazione Three-Body Computing con 12 satelliti e punta a 2.800 unità. Amazon, Google e SpaceX hanno annunciato investimenti diretti. Elon Musk ha dichiarato: “Semplicemente scalando i satelliti Starlink V3, con collegamenti laser ad alta velocità, si può fare. SpaceX lo farà”. Jeff Bezos, dal palco dell’Italian Tech Week, ha rincarato: “Batteremo i costi dei data center terrestri nello spazio nei prossimi decenni”. In Europa, il progetto Ascend – guidato da Thales Alenia Space – ha dimostrato la fattibilità tecnica e ambientale, ma siamo ancora alla fase di studio. Il report Espi è chiaro: senza un’iniziativa di scala continentale, l’Ue resterà dipendente dai hyperscaler americani, con rischi per la sovranità digitale e per la competitività industriale.
Modelli di business e architetture proposte
Il documento Espi distingue due approcci: architetture monolitiche, con grandi moduli da gigawatt, e architetture distribuite, basate su costellazioni di micro-data center. Le prime offrono economie di scala, ma richiedono lanci pesanti e manutenzione complessa. Le seconde sono più flessibili e resilienti, ma comportano costi di coordinamento e sincronizzazione. Il report suggerisce che l’Europa potrebbe puntare su modelli distribuiti, sfruttando la propria esperienza nelle costellazioni satellitari e nell’integrazione con reti terrestri. Un altro punto chiave è la governance: chi gestirà i dati in orbita? Espi propone un framework europeo per garantire compliance con Gdpr e sicurezza strategica.
Le sfide tecnologiche e i costi
Nonostante il potenziale, le barriere restano significative. Lancio e assemblaggio in orbita, gestione termica e protezione dalle radiazioni sono problemi aperti. Il modello economico sviluppato dal Tum evidenzia che un’architettura monolitica da 1 GW in orbita può diventare competitiva rispetto ai Tier III terrestri solo se il costo di lancio scende sotto i 150 dollari/kg e la vita utile dell’hardware supera i tre anni. SpaceX punta a ridurre i costi con Starship, ma la strada è lunga. Il raffreddamento è un nodo cruciale: dissipare gigawatt di calore nello spazio richiede soluzioni radicali, come radiatori giganti e sistemi a due fasi. Anche la manutenzione è una sfida: senza robotica avanzata, sostituire componenti in orbita è proibitivo. Per questo, le prime applicazioni saranno probabilmente limitate a edge computing e storage sicuro, mentre le architetture gigawatt-scale restano una prospettiva di lungo termine.
Sostenibilità e sovranità: le carte vincenti per l’Europa
Il trasferimento di capacità di calcolo nello spazio non è solo una questione di efficienza: è una risposta alle pressioni ambientali e geopolitiche. I data center terrestri consumano miliardi di litri d’acqua per il raffreddamento e generano tonnellate di e-waste. In orbita, il raffreddamento avviene per irraggiamento e l’energia è solare. Inoltre, la dipendenza europea da Aws, Azure e Google Cloud supera il 70%, mentre il Cloud Act Usa consente l’accesso extraterritoriale ai dati. Un’infrastruttura spaziale sovrana garantirebbe compliance con Gdpr e resilienza strategica, integrandosi con Iris2 e il futuro cloud-edge continuum europeo. Il progetto Ascend ha dimostrato che un data center orbitale alimentato da energia solare può ridurre drasticamente l’impronta carbonica, contribuendo agli obiettivi del Green Deal. Ma serve una visione industriale: senza investimenti pubblici e privati, l’Europa rischia di restare spettatrice.
Le raccomandazioni Espi per l’Europa
Il report conclude con una serie di raccomandazioni operative. Primo: definire una roadmap entro il 2026, con obiettivi chiari per testbed e dimostratori. Secondo: creare un consorzio europeo che integri industria spaziale, telco e cloud provider. Terzo: investire in tecnologie critiche come robotica orbitale, sistemi di raffreddamento e propulsione elettrica. Quarto: sviluppare un framework normativo per la gestione dei dati in orbita, garantendo sicurezza e compliance. Infine, promuovere sinergie con programmi Esa come Artes e Gstp, e con iniziative Ue come Iris2 e Gaia-X. Senza queste azioni, avverte l’Espi, l’Europa rischia di perdere una nuova età dell’oro digitale.













































