Nel nuovo Framework on an Agreement on Reciprocal, Fair, and Balanced Trade, Stati Uniti ed Europa hanno inserito un capitolo cruciale dedicato agli AI chip. A prima vista, sembra un passo avanti: un impegno comune a rafforzare la cooperazione transatlantica sulla tecnologia alla base di modelli, sistemi e agenti di intelligenza artificiale.
Ma, secondo un approfondimento del Cepa (Center for European Policy Analysis) a fiirma di Pablo Chavez, Adjunct Senior Fellow with the Center for a New American Security’s Technology and National Security Program e tecnologo, “un’analisi più attenta mostra che sia i numeri sugli acquisti sia le clausole di sicurezza sono ancora provvisori, lasciando aperti interrogativi su scala, tempi e certezza”.
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La promessa dei 40 miliardi
Il cuore dell’intesa è la promessa europea di acquistare almeno 40 miliardi di dollari in AI chip statunitensi. Una cifra imponente, che tuttavia appare più “aspirazionale che vincolante”, osserva Chavez. Infatti, il documento non specifica chi comprerà, quanti chip né in quale arco temporale.
Due sono i canali potenziali:
- le AI Factories, hub europei di supercalcolo, dati e competenze destinati a startup, ricercatori e PA, che possono contare su un budget da 464 milioni di dollari nel 2024 e fino a 929 milioni entro il 2027, oltre a 2 miliardi mobilitati dalla Commissione Europea;
- le AI Gigafactories, enormi centri di calcolo (100.000 chip ciascuno) con investimenti previsti oltre i 23 miliardi di dollari, distribuiti su cinque siti ancora da assegnare.
Mettendo insieme queste linee si arriva a circa 26 miliardi, destinati però in gran parte a infrastrutture e gestione, non all’acquisto di chip. Di conseguenza, l’obiettivo dei 40 miliardi non risulta finanziato.
Inoltre, a differenza delle clausole sull’energia (che coprono fino al 2028), l’accordo non definisce alcuna tempistica per i chip. Secondo Chavez, “l’opzione più probabile sarà estendere la finestra temporale ben oltre il 2028, diluendo così l’impatto dell’impegno nel breve periodo”.
Sicurezza: più vincoli che certezze
Un altro pilastro dell’intesa riguarda le garanzie di sicurezza. L’Ue si impegna ad allineare le proprie misure a quelle statunitensi, mentre Washington promette soltanto di “cercare di facilitare” le esportazioni una volta che i requisiti saranno rispettati.
In pratica, spiega Chavez, “queste clausole non assicurano accesso uniforme ai 27 Stati membri: gli Usa mantengono la discrezionalità, con possibili autorizzazioni sito per sito e controlli periodici”. Lo schema assomiglia al Data Center Validated End-User program, che lega le licenze a specifici impianti con obblighi di monitoraggio continuo.
Il rischio, conclude l’analista, è la riemersione di una logica a due livelli già vista con la “AI Diffusion Rule” dell’amministrazione Biden, poi abrogata, che collocava l’Europa in Tier 2, con accesso limitato ai chip più avanzati. “Quello che appare come unità di livello 1 nei titoli, potrebbe funzionare di fatto come un trattamento di livello 2”, avverte Chavez.
Simbolismo politico vs realtà operativa
Il compromesso raggiunto rappresenta bene una dinamica ricorrente della diplomazia commerciale Usa: grandi titoli all’inizio, implementazione dopo.
Per gli Stati Uniti l’accordo offre “l’ottica di un impegno significativo con sostanza limitata”, mentre per l’Europa mancano sia un meccanismo vincolante di finanziamento sia garanzie sulla fornitura.
“Finché i dettagli non diventeranno vincolanti, l’effetto pratico resta neutrale – con il rischio di peggiorare se nuove condizioni rallenteranno gli acquisti europei”, scrive Chavez.
Certezze ancora lontane
L’accordo sugli AI chip tra Usa e Ue genera titoli positivi, ma la realtà è ancora lontana. Senza certezze su risorse, tempistiche e regole, il framework rischia di unirsi alla lunga lista di intese transatlantiche che restano sospese tra simbolismo politico e attuazione concreta.