IL CASO

Ancora guai per Facebook, ora finisce nel mirino dell’Antitrust tedesco

Il Garante sospetta che “tramite le clausole per l’utilizzo delle informazioni degli utenti si trasgredisca la legge sulla loro protezione”

Pubblicato il 02 Mar 2016

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Ancora guai per Facebook. Dopo l’arresto ieri in Brasile del Vp per l’America, Diego Dzodan, oggi l’Antitrust tedesco, il Bundeskartellamt, ha aperto un’inchiesta su Facebook. Il garante della concorrenza sospetta che la società Usa abusi della sua posizione dominante sul mercato dei social network per imporre ai suoi utenti delle condizioni di utilizzo dei loro dati personali che violino le leggi sulla protezione dei dati.

“Il sospetto iniziale – spiega l’Antitrust in un comunicato – è che tramite le clausole che utilizza nei suoi servizi per l’utilizzo dei dati dei clienti, Facebook trasgredisca le leggi sulla protezione dei dati”.

L’istituto intende accertare “quali legami vi siano tra un’eventuale posizione dominante dell’azienda sul mercato e l’utilizzazione di queste clausole”.

Ieri la polizia brasiliana ha arrestato il vice presidente di Facebook per l’America Latina, Diego Dzodan, dopo che la compagnia si è rifiutata di concedere alla magistratura l’accesso a dati ritenuti rilevanti per un’inchiesta sul traffico di stupefacenti.

Le forze dell’ordine hanno agito su mandato disposto da un giudice della città di Lagarto, nello Stato di Sergipe, nel Nord-est. Il motivo, secondo gli agenti, è stata la mancanza di collaborazione di Facebook in indagini aventi ad oggetto messaggi su WhatsApp.

La vicenda è quindi simile a quella che ha coinvolto Apple negli Stati Uniti, con l’azienda di Cupertino che si è rifiutata di rispettare l’ordine di un tribunale che aveva chiesto accesso ai dati dell’iPhone di uno degli autori della strage di San Bernardino. Non è la prima volta che il colosso di Palo Alto entra in conflitto con le autorità brasiliane. Lo scorso dicembre un giudice aveva bloccato temporaneamente il servizio di messaggistica Whatsapp, posseduto da Facebook, per non aver rispettato per due volte la richiesta di accesso ai dati di alcuni utenti che, secondo quanto aveva riportato la stampa, erano coinvolti in un cartello criminale.

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