LO SCANDALO

Caso Facebook, scende in campo l’Agcom: “Indagine su voto 4 marzo”. E la Ue convoca Zuckerberg

Attivato dall’authority un gruppo di lavoro “sull’utilizzo di dati e informazioni per finalità di comunicazione politica”. Già richieste informazioni sull’acquisizione di dati “relativi a servizi e strumenti messi a disposizione da Facebook” durante la campagna elettorale italiana. Si alza la tensione internazionale sullo scandalo, Antonio Tajani convoca Mark Zuckerberg in audizione all’Europarlamento. Ancora in discesa a Wall Street il titolo dell’azienda social: bruciati 49 miliardi di dollari

Pubblicato il 21 Mar 2018

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La bufera scatenata dal caso Facebook-Cambridge Analytica  mette in allerta anche l’Italia. Agcom avvia un’indagine su eventuali ripercussioni sulle elezioni politiche, mentre anche la politica prende posizione. Per il sito di Mark Zuckerberg non c’è pace: il titolo della società è ancora in calo a Wall Street, mentre tocca quota 49 miliardi di dollari la cifra bruciata dal social nelle ultime due sedute.

L’authority guidata da Angelo Marcello Cardani ha inviato a Facebook una specifica richiesta di informazioni circa l’impiego di data analytics per finalità di comunicazione politica da parte di soggetti terzi. La richiesta, come spiega Agcom, fa seguito alla diffusione di notizie relative all’uso illecito di dati di 50 milioni di utenti americani di Facebook.

“Nell’ambito del Tavolo tecnico istituito dall’Autorità con la delibera n.423/17/Cons – fa sapere Agcom – è stato sviluppato un filone specifico di attività riguardante il monitoraggio sulla parità di accesso all’informazione e la comunicazione politica per le elezioni del 4 marzo (per cui l’Autorità ha adottato specifiche linee guida) e l’istituzione di gruppi di lavoro sulla tematica dell’utilizzo di dati e informazioni per finalità di comunicazione politica”. Con una precedente comunicazione sono state già richieste informazioni sull’acquisizione di dati relativi “a servizi e strumenti messi a disposizione da Facebook, sia per gli utenti sia per i soggetti politici, durante la campagna elettorale italiana per le scorse elezioni politiche 2018. Questa seconda richiesta si inserisce pertanto in continuità con le iniziative intraprese”.

Sul caso interviene Francesco Boccia (Pd): “La società e la politica devono necessariamente chiarire, senza tergiversare o girare la testa dall’altra parte”. E sulla gestione del dato servono chiarimenti, “la politica ha il dovere di fissare binari rigidi”, il Pd ha mosso i primi passi nella scorsa legislatura, oggi dobbiamo incalzare anche gli altri partiti che non hanno mai preso posizione”. Prende posizione anche Michele Anzaldi deputato Pd: “Il mio primo atto da parlamentare sarà la proposta di legge per l’istituzione di una commissione d’inchiesta ad hoc e sulle fake news, anche alla luce di quanto ha confermato l’Agcom, ovvero che nel 2012 quelle tecniche sono state utilizzate anche da un partito italiano”.

In campo anche la Ue. Il presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, ha espresso la necessità di un’audizione: “Facebook, Twitter e gli altri giganti sono strumenti di libertà nei paesi democratici – ha detto in un’intervista alla Stampa – e lo sono anche nei paesi autoritari, dove infatti noi li difendiamo e ci battiamo per la loro diffusione. Ma senza regole e con un uso distorto, si mette a rischio la libertà di espressione di tutti”. La Commissione Ue chiede più trasparenza da parte degli Ott. A fronte della “sfida politica” posta dagli attacchi informatici e in particolare “dall’uso di dati personali per veicolare messaggi divisivi”, secondo il commissario Ue alla sicurezza Julian King, “è chiaro che dobbiamo diventare più resistenti verso questo tipo di attività e l’elemento chiave della nostra risposta dovrebbe essere una maggiore attribuzione di responsabilità”. “Per le piattaforme internet dell’industria dell’advertising – ha sottolineato in un contributo video inviato al Cybersecurity Summit a Roma – questo significa prendere misure appropriate per prevenire la diffusione della disinformazione. Dobbiamo guardare con forza a cosa è necessario fare per assicurare una vera trasparenza su chi sponsorizza i contenuti, così come sulle regole nell’uso dei dati personali per specifici propositi, in particolare politici”. “Dobbiamo andare avanti con questo dibattito – ha aggiunto – che sta diventando sempre più pressante”.

Il caso non presenta invece nessun margine di intervento di tipo Antitrust, “non è questo lo strumento adatto – ha detto la Commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager -. Sono preoccupata come tutti”.

Su Facebook si abbatte anche il “fuoco amico”. Il cofondatore di WhatsApp Brian Acton – che ha lasciato il social a inizio 2018 – si è aggiunto al movimento #deletefacebook e ha invitato i suoi follower a cancellarsi dal social blu. Poche parole, quelle scritte da Acton su Twitter. “It is time”, è tempo di farlo, seguite dall’hashtag #deletefacebook che negli ultimi giorni è gettonatissimo sui social. Il tweet ha riscosso apprezzamento: in 11 ore ha raccolto 9mila like, 600 commenti ed è stato condiviso oltre 4mila volte.

Intanto in un’intervista rilasciata a BBc Radio 4, Alexander Kogan, docente di psicologia a Cambridge – è stato lui a sviluppare la app che ha raccolto le info degli utenti Usa di Facebook  per poi passarli a Cambridge Analytica –  si difende dalle accuse di aver sottratto illecitamente i dati. “Mi usano come capro espiatorio, sia Facebook sia Cambridge Analytica“, ma la verità è che tutti sapevano tutto e tutti ritenevamo di agire in modo perfettamente appropriato dal punto di vista legale”, spiega Kogan, negando di aver ingannato chiunque. E mette inoltre in dubbio che quei dati possano aver avuto davvero un ruolo chiave nella vittoria di Trump.

“La mia idea – dice alla Bbc – è che mi vogliano usare fondamentalmente come capro espiatorio, sia Facebook sia Cambridge Anayltica. Mentre noi onestamente pensavamo di agire in modo perfettamente appropriato, pensavamo tutti di fare una cosa davvero normale”.

Kogan aggiunge di essere stato rassicurato proprio dai vertici di Cambridge Analytica che la cessione dei dati e la sua consulenza con loro fosse “perfettamente legale e nei termini contrattuali”. Del resto aggiunge di considerare alla stregua di millanterie pubblicitarie le affermazioni fatte in seguito dal management della stessa Cambridge Analytica di aver avuto un ruolo cruciale per far vincere Trump. “E’ un’esagerazione”, sostiene Kogan, osservando che la maggior parte di quella montagna di dati sarebbe stata più adatta a danneggiare la campagna del tycoon che non a favorirla.

E iniziano a cadere le prime teste anche nella società di analisi britannica. Il cda di Cambridge Analytica ha deciso di sospendere il top manager, Alexander Nix, “con effetto immediato, in attesa di un’inchiesta completa ed indipendente”. Le accuse contro Nix, recita il comunicato, vanno contro “i valori della societa'” e la sua sospensione riflette la serietà delle preoccupazioni con cui Cambridge Analytica guarda alle sue “violazioni”.

Secondo l’informatico, Chris Wylie, “gola profonda” dello scandalo, era proprio Steve Bannon a supervisionare il programma di Cambridge Analytica che puntava a raccogliere milioni di dati di Facebook per influenzare il voto. Parlando con il Washington Post, Wylie riferisce che Bannon fu vice presidente di Cambridge Analytica fino a quando non si dimise per passare alla campagna elettorale di Donald Trump nell’agosto del 2016.

Sotto Bannon, la compagnia identificò e mise alla prova il potere di alcuni messaggi anti-establishment che poi furono utilizzati in maniera seriale nei comizi del candidato repubblicano. Per esempio, “drain the swamp” (drena la palude) e “deep State” (lo Stato nello Stato). Wylie ha raccontato che Bannon. ai tempi cui era al vertice di Cambridge Analytica e responsabile di Breitbart News,  era molto addentro alla strategia dell’azienda e nel 2014 diede il via libera all’acquisizione, costata da quasi un milione di dollari, dei preziosi dati, tra i quali i profili di Facebook.

“Bannon doveva approvare qualsiasi cosa in quel momento – ha raccontato l’informatico – era il boss di Alexander Nix” che all’epoca era ai vertici dell’azienda ma non ancora amministratore delegato. “Alexander Nix non aveva l’autorità di spendere tutti quei soldi senza la sua approvazione”. Sollecitato in proposito, Bannon non ha voluto commentare.

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