L'INTERVISTA

Cloud, il Cispe: “Fair licensing per spingere l’Europa digitale”

Francisco Mingorance, segretario generale dell’associazione che raccoglie i player europei, accende i riflettori sulla concorrenza nel settore: “Rischi dal vendor lock in applicato da alcune aziende. Nel Data Act servono misure ad hoc per tutelare il mercato e garantire la portabilità dei dati”

Pubblicato il 27 Dic 2022

Francisco - Mingorance - cispe

Il “Fair Software Licensing”srumento per tutelare il mercato del cloud e spingere l’Europa digitale. Francisco Mingorance, segretario generale del Cispe, l’associazione dei cloud vendor europei accende i i riflettori sui rischi del vendor lock in e sulla necessità di strutturare misure ad hoc nel Data Act al vaglio della Commissione.

Mingorance, quanto incide il vendor lock in sulla trasformazione digitale europea?

Il problema del lock-in è stato evidenziato da una ricerca del professor Frédéric Jenny, presidente del Comitato per la concorrenza dell’Ocse che ha mostrato come i fornitori dominanti di software, tra cui rientrano anche player importanti, utilizzino termini di licenza non equi per limitare la scelta del cloud da parte delle aziende. I costi di questo lock-in comportano una minore innovazione, una mancanza di diversità di soluzioni e la perdita dell’autonomia strategica dell’Europa nell’economia digitale. Una successiva ricerca condotta in Italia dall’Istituto per la Competitività (I-Com), che ha coinvolto 82 membri di Assintel, mostra che 1 azienda su 4 ha sperimentato pratiche scorrette rispetto ai software, di cui l’effetto lock-in è il problema più pressante, e che più della metà degli intervistati ritiene che tali pratiche danneggino la digitalizzazione delle aziende italiane.

E dunque?

Lo studio conclude che l’applicazione dei 10 principi di “Fair Software Licensing” promossi da Cispe per porre fine a queste pratiche scorrette potrebbe aumentare i ricavi del settore Ict italiano da 1,28 a 1,61 miliardi di euro all’anno. Per i fornitori europei di cloud la situazione è ancora peggiore. I dati di Synergy Research mostrano che la quota del mercato cloud detenuta dalle aziende europee è crollata da oltre il 30% nel 2017 a meno del 16% attuale, e questo ha favorito alcuni fornitori “hyperscale” come quelli prima menzionati, con balzi addirittura dell’800%.

Come si stanno muovendo le istituzioni europee su questo fronte?

Il Digital Markets Act non è riuscito a risolvere il problema delle pratiche scorrette di lock-in dei software ma, nel frattempo che l’Europa discute il prossimo Data Act, si sta facendo strada la consapevolezza che senza principi equi per le licenze software, diventa molto difficile ottenere un’effettiva portabilità dei dati. I clienti non possono esercitare una scelta sui fornitori di cloud se sono bloccati dai termini di licenza del software. Presso la Commissione europea sono attualmente in corso quattro diversi reclami in materia di concorrenza in risposta al questo tipo di licenze software che impediscono, di fatto, la concorrenza sul mercato.  Le denunce degli operatori di infrastrutture cloud Aruba, OVHcloud e della Danish Cloud Community, oltre a quella di Cispe, dimostrano come i termini di licenza infine applichino prezzi discriminatori per precludere il mercato ai concorrenti. Riteniamo che tutti questi casi finiranno per dimostrare che grandi player abbiano utilizzato in modo scorretto le licenze software per bloccare i clienti nelle proprie soluzioni cloud.

E quali sono le azioni messe in atto dagli operatori del settore?

Sempre più clienti si fanno avanti per denunciare queste pratiche, nonostante il timore di molti di sfidare fornitori così dominanti. Questo sta avendo dei risultati, come ad esempio l’annuncio di Microsoft di voler risolvere i problemi, da loro definiti “involontari”, legati alle licenze software, attraverso nuovi termini e condizioni delle licenze a sostegno degli operatori europei e delle loro scelte. Speriamo che tutti i vendor che praticano il lock-in se ne rendano conto e cambino questa pratica il più presto possibile.

Il progetto Gaia X è in corso, c’è il rischio che il vendor lock possa impattare negativamente sul suo sviluppo?

Gaia-X illustra bene questo punto: si tratta di un’iniziativa europea per creare servizi cloud e dati che riconoscono le esigenze, le opportunità e gli obiettivi specifici dell’Europa. Gli sviluppi recenti includono la creazione di un catalogo unico di servizi cloud federati. Questo ha il potenziale di trasformare il modo in cui qualsiasi organizzazione può cercare, trovare e assemblare la giusta combinazione di servizi cloud per soddisfare le proprie esigenze specifiche. Fornendo etichette e la possibilità di ricercare servizi in base a specifiche caratteristiche, tra cui la sovranità dei dati, la cybersicurezza e l’impatto ambientale, oltre a funzionalità specifiche, il catalogo fornisce agli sviluppatori i mezzi per trovare e combinare i servizi giusti da fonti affidabili.

Cosa serve per mantenere questi progressi?

Gaia-X ha bisogno della partecipazione costante di un ecosistema ampio e diversificato di fornitori europei. In qualità di fondatore e membro attivo del consiglio di amministrazione, Cispe agisce da tramite aiutando i suoi membri a contribuire e a beneficiare delle iniziative di Gaia-X. Molti dei servizi inclusi nella dimostrazione del Catalogo, ad esempio, sono stati forniti dai membri del Cispe, compresi quelli italiani. È la collaborazione che garantisce che i risultati di Gaia-X non siano solo pietre miliari tecniche, ma siano preziosi e immediatamente utilizzabili in situazioni reali.

Il tema del lock in è legato anche alla sovranità tecnologica a cui l’Europa ambisce…

In passato l’Europa ha agito troppo tardi per impedire alle imprese dominanti di affossare i concorrenti su un mercato con pratiche, appunto, anticoncorrenziali. Gli attuali sforzi per ricostruire un’industria europea dei chip di silicio dovrebbero essere un monito sui pericoli di un’eccessiva dipendenza dagli operatori stranieri e della perdita di capacità produttiva interna. Teniamo conto di questo avvertimento, assicurandoci di non rinunciare alle capacità cloud dell’Europa per poi pentircene.

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