L'OPERAZIONE

Data center pubblici, ecco i “promossi e bocciati” da Agid

Si è chiuso il censimento delle infrastrutture pubbliche: su 1.250 solo 35 candidabili a diventare poli strategici nazionali. L’Agenzia: “Il consolidamento faciliterà l’offerta di servizi innovativi a cittadini e imprese e il taglio di costi superflui”

Pubblicato il 20 Feb 2020

L. O.

Multicloud

Dalle Pubbliche amministrazioni centrali a quelle locali, dalle Asl alle  università: si è conclusa l’ultima fase del censimento dei data center pubblici, in linea con quanto previsto dalla circolare 1/2019 e dal Piano Triennale per l’Informatica nella Pubblica amministrazione.

Mille le amministrazioni catalogate, per un totale di 1.252 data center censiti. L’operazione, specifica Agid, punta ad “agevolare il processo di razionalizzazione dei data center della PA italiana e la migrazione verso il cloud”.

Un’azione strategica per la competitività del Paese, fa sapere una nota, “poiché consentirà a tutte le amministrazioni di innalzare il livello di sicurezza delle proprie infrastrutture, di offrire servizi più moderni a cittadini e imprese e di tagliare costi superflui valorizzando il proprio ruolo nella transizione digitale”.

In particolare dal censimento risulta che 35 data center sono risultati candidabili all’utilizzo da parte del polo strategico nazionale; 27 sono stati classificati nel gruppo A; i restanti 1190 sono stati classificati nel gruppo B.

L’82% delle PA consultate ha dichiarato di possedere un data center di proprietà, il restante 18% ha detto di affidarsi a data center di terzi.

Dal censimento è emerso che il 13% dei data center è stato realizzato prima del 1996, il 28% tra il ’96 e il 2005, il 46% tra il 2006 e il 2015, il 13% dopo il 2015. Il 64% dei data center censiti sono stati oggetto di un ultimo intervento di ammodernamento dopo il 2015, mentre il 36% prima del 2015.

In base ai dati raccolti nella rilevazione, oltre il 42% delle PA afferma di aver già adottato servizi cloud, il 22% di prevederne un prossimo utilizzo, mentre il restante 36% non ne ha ancora previsto l’adozione.

Le pubbliche amministrazioni con data center classificati nel gruppo B avvieranno il percorso di migrazione verso il Cloud come definito dal programma nazionale di abilitazione al Cloud.

I criteri di classificazione

Ecco nel dettaglio i criteri di classificazione:

  • Candidabili a Poli strategici nazionali, ovvero che rispettano tutti i requisiti preliminari definiti dall’Agenzia, tra i quali il fatto che gli immobili in cui sono situati i server sono nella disponibilità esclusiva dell’ente che deve aver formalmente adottato procedure per la gestione della sicurezza  IT e di business continuity.
  • Gruppo A: ­data center di qualità non idonei come Poli strategici nazionali, oppure con carenze strutturali o organizzative considerate minori. Saranno strutture che potranno continuare ad operare ma per esse non potranno essere effettuati investimenti di ampliamento o evoluzione sulle infrastrutture fisiche. Sarà possibile investire solo per garantire continuità dei servizi e disaster recovery, fino ad un’eventuale migrazione su altre strutture, avvalendosi dei servizi cloud disponibili nell’ambito del Cloud della PA. La progressiva dismissione delle infrastrutture fisiche e la trasformazione dei servizi secondo il piano di abilitazione nazionale al cloud saranno oggetto di specifica attività di programmazione e sviluppo concordata con le amministrazioni delle infrastrutture afferenti al gruppo.
  • Gruppo B: ­data center che non garantiscono requisiti minimi di affidabilità e sicurezza dal punto di vista infrastrutturale e/o organizzativo o non garantiscono la continuità dei servizi, o non rispettano i requisiti per essere classificati nelle due precedenti categorie. Le infrastrutture fisiche delle PA appartenenti al Gruppo B provvedono alla migrazione al Cloud della PA secondo quanto previsto dal Programma nazionale di abilitazione al Cloud della PA.
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