LO STUDIO

Cyberattacchi e furti di dati, la colpa non è solo degli hacker

Il 43% dei “data breach” è responsabilità dei dipendenti, la metà dipende da casi fortuiti. Rapetto: “Argomento spesso affrontato solo a cose fatte, e si perde ancor più tempo per capire cosa fare”. Bernardi (Federprivacy): “Aziende investono in tecnologie avanzate, ma non mettono poi a disposizione budget per il personale”

Pubblicato il 02 Set 2016

F.Me

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Ogni volta che il sistema informatico aziendale va improvvisamente in tilt, o che certi dati risultano inspiegabilmente spariti dai server, il primo pensiero va ad un attacco hacker o a un virus. Ma non è sempre colpa dei pirati informatici, anzi molte volte per trovare la causa del problema non c’è bisogno di cercare troppo lontano: spesso il guaio è provocato da manovre maldestre degli stessi dipendenti che dovrebbero proteggere il patrimonio dei dati.

Un recente studio di Intel Security ha infatti evidenziato che il 43% dei furti di dati è da imputarsi ai dipendenti, e nella metà dei casi le cause sono addirittura fortuite. A spiegarlo, è il Generale Umberto Rapetto, già comandante del Nucleo Speciale Frodi Telematiche della Guardia di Finanza, che affronterà questa tematica al 6° Privacy Day Forum il 13 ottobre a Roma.

“Volontarietà e accidentalità vanno a fondersi in una sostanziale inaffidabilità del personale impiegato, imponendo anche ai più scettici di adottare iniziative organizzative, regolamentari e tecniche per arginare un rischio che può rivelarsi addirittura catastrofico – dice Rapetto – Spesso si affronta l’argomento solo a cose fatte, quando un evento nocivo ha avuto luogo e si rende necessario individuarne il responsabile, quando è tardi e si perde ancor più tempo per capire cosa fare e a chi rivolgersi per farlo.”

Oltre alle ripercussioni che un incidente informatico può avere all’interno dell’azienda, impiegare personale inadeguato per gestire i dati personali può produrre effetti devastanti anche sul piano normativo ed economico. “Anche se le aziende investono in tecnologie avanzate, paradossalmente non mettono poi a disposizione sufficienti budget per assumere o formare personale competente in grado di gestire in modo efficiente e sicuro gli enormi flussi di dati personali che trattano con le proprie infrastrutture, esponendosi a pericoli di data breach da cui possono derivare paralisi delle attività, danni reputazionali, e pesantissime sanzioni del Garante della Privacy – evidenzia il presidente di Federprivacy, Nicola Bernardi: Con il nuovo Regolamento Ue, le imprese dovranno infatti notificare le violazioni all’Authority, che potrà comminare multe fino a 20 milioni di euro o al 4% del fatturato, e nei casi più gravi dovranno essere informati anche gli stessi interessati, con l’inevitabile esposizione alla gogna mediatica.”

Le aziende che si dotano di tecnologie avanzate, devono quindi correre ai ripari avvalendosi anche di adeguate misure tecniche ed organizzative per prevenire veri e propri disastri informatici, investendo in risorse umane qualificate e nella loro formazione, ricorrendo inoltre a strumenti efficaci come ad esempio la certificazione ISO/IEC 27001:2013, norma che fornisce una serie di requisiti e standard sulla sicurezza delle informazioni, utile anche ai fini della compliance al nuovo Regolamento Privacy UE, a cui le imprese devono adeguarsi entro il 25 maggio 2018.

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