STRATEGIE

Dal soft all’hard (e oltre), ecco cosa c’è dietro la svolta di Google

Lo smartphone Pixel, ma anche router smart, dongle per la Tv, speaker intelligenti: il nuovo business non è solo il segno di una conquistata maturità aziendale. E’ anche il primo passo verso la grande integrazione tra hardware e software in cui l’intelligenza artificiale giocherà un ruolo centrale. Da “made in Apple” a “made in Google”?

Pubblicato il 07 Ott 2016

Antonio Dini

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Fino a ieri era l’intangibilità della nuvola. Oggi prodotti da tenere in casa, indossare, mettere in tasca. La nuova Google, che sta procedendo a tappe forzate in una razionalizzazione delle sue attività, ha imboccato la strada dell’integrazione verticale tra hardware e software, come predicato da quarant’anni dalla sua concorrente Apple.

Ecco dunque arrivare non solo i nuovi telefonini Pixel, questa volta realmente prodotti in casa e distribuiti in tutto il mondo (i Nexus venivano appaltati ai grandi produttori terze parti in piccoli contingenti privi di un canale di distribuzione efficace e rimanevano più una prova d’autore che non un competitor per Apple, Samsung, Asus, Huawei e gli altri), ma anche router intelligenti made in Google, dongle per la tv in alta definizione made in Google, speaker intelligenti per la casa made in Google. Insomma, dal soft all’hard del mercato B2C. Ma cosa c’è dietro questa svolta?

Google già da tempo produceva hardware. Pochi sanno che in realtà l’azienda non solo ha prodotto centinaia di iterazioni per i suoi datacenter di server a basso costo, ma anche appliances (apparecchi da connettere alla rete internamente a un centro di calcolo) quando per la prima volta ha cercato di entrare nel mercato aziendale con sistemi di search nell’intranet. Google poi ha cominciato a sponsorizzare produzioni hardware con i suoi partner e a muovere i primi passi nel mercato dei prodotti commerciali, sia futuristici che meno probabili: dai Google Glass (uno dei più grossi flop di marketing della storia dell’informatica moderna, dal quale però l’azienda ha imparato molto) alle auto che si guidano da sole. C’è stata poi l’acquisizione di Nest, leader nel nascente settore della domotica creata da quel Tony Fadell che è il vero padre dell’iPod di Apple (suo il progetto e suo il coordinamento della realizzazione del prodotto) che ha portato pochi frutti, sino alla rocambolesca uscita del saturnino Fadell dall’azienda.

E adesso c’è una grande accelerazione sia dal punto di vista dei prodotti hardware per il mercato consumer che da quello del software sia aziendale che per tutti. Ma era un processo già iniziato da un paio di anni: con la razionalizzazione della galassia delle società di Google, che adesso si chiama Alphabet e nel motore di ricerca vede solo una delle sue tante anime. Ma anche con l’assunzione di manager di alto profilo che hanno portato ordine e razionalizzazione in un giardino creativo lasciato a lungo nelle mani di giovani talenti privi però di disciplina nella visione organica di come si collabora alla crescita di un’azienda.

Forse rispecchiando anche la maturazione dei due fondatori, che hanno preso direzioni diverse (a capo di tutto adesso c’è Larry Page mentre Sergey Brin è sempre più lontano dal timone di comando) ma in solidale hanno rimesso le carte a posto sul tavolo, Google adesso si presenta come un’azienda matura, pronta ad affrontare sfide diverse dal passato: sempre meno pubblicità e ricerca, sempre più intelligenza artificiale e cloud per le aziende da un lato (con tanto di app riorganizzate in una suite più razionale) e prodotti per il mercato consumer dall’altro.

I prodotti creati da Google per il mercato sembrano oggi sempre meno il frutto di una strategia di semina simile a quella fatta negli anni da Intel (che ha prodotto anche sistemi complessi per dare l’avvio alle economie di scala di nuovi mercati): sono invece strumenti potenti e integrati con le soluzioni software costruite nel cloud. In entrambe le direzioni: costano poco perché non solo offrono servizi, ma raccolgono anche dati (in forma anonima) che servono ad alimentare i sistemi di machine learning e a rendere a loro volta più smart i prodotti software nella nuvola di Google.

Ecco dunque perché c’è questo uso abbondante di intelligenza artificiale, machine learning e sistemi di ottimizzazione comandati dalla potenza di calcolo del cloud di Google, che ha al suo interno nuove tecnologie utilizzate in questo modo per i prodotti consumer ma anche a disposizione delle aziende. A ben guardare non è diverso dalla strategia immaginata da Satya Nadella (non a caso l’artefice della nuvola di Microsoft) che vede integrazione tra i servizi offerti via cloud nel mercato B2C e quelli offerti alle aziende in quello B2B: le stesse tecnologie interpretate in modo diverso per soddisfare le differenti esigenze di mercato. Una strategia simile, anche se più defilata o forse di minor successo, la percorre anche Amazon, mentre la via si aprirà presto anche per Facebook, che ha già in casa produttori di hardware in attesa di sbarcare sul mercato con apparecchi di realtà artificiale.

Quindi, il Chromecast Ultra per avere video 4K sul tv di casa, ma anche lo speaker intelligente Google Home o il telefono con supermacchina fotografica (ma processore piuttosto sottodimensionato) Pixel si integrano non solo con il sistema di realtà virtuale Daydream View, ma anche con i servizi di intelligenza artificiale nel cloud che girano su cluster di server e con software analoghi a quelli a disposizione per le esigenze delle aziende.

Il Made in Google diventa quindi questo: un meccanismo da parte della casa della grande G per dare a tutti l’esperienza completa dei suoi servizi. In questo modo si aliena la simpatia dei suoi produttori seconde parti (da Samsung a Huawei) ma forse semplicemente anticipa una loro fuga verso sistemi operativi alternativi. E il lavoro di realizzazione di un OS che integri Android con ChromeOS e Chrome browser potrebbe portare in un futuro molto vicino alla nascita di una piattaforma completa anche dal punto di vista hardware, con computer desktop e laptop. Insomma, da Made in Cupertino la grande integrazione hardware della Silicon Valley potrebbe diventare presto Made in Mountain View.

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