LA DENUNCIA

Datagate, Twitter trascina in tribunale il Governo Usa

Al social network è stato vietato di diffondere i dati sugli accessi agli account richiesti dall’Nsa. Così l’azienda ha deciso di appellarsi al primo emendamento della Costituzione, quello sulla libertà di espressione, e di rivolgersi a un giudice della California

Pubblicato il 08 Ott 2014

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I rapporti tra Twitter e il Governo degli Stati Uniti sul datagate sono sempre stati abbastanza difficili. Il social network infatti è stato tra i primi a fare resistenza rispetto alle richieste dell’amministrazione di accesso agli account, e tra l’altro non ha partecipato alla negoziazione con il ministero della Giustizia per trovare un punto d’intesa tra la difesa della privacy degli utenti e le esigenze della sicurezza nazionale. Un tavolo a cui erano seduti tutti i Big del settore, da Facebook a Google.

L’ultimo atto di questa vicenda passa da un tribunale della California, a cui Twitter si è rivolto per vedere riconosciute le proprie ragioni contro il Governo.

Il motivo del contendere è un divieto imposto dall’amministrazione al social network, quando il sito di microblogging aveva manifestato l’intenzione di rendere pubblici i dati sulle richieste di accesso dell’intelligence Usa alle informazioni sugli account degli utenti.

Il rapporto semestrale di Twitter, così, dovrà fare a meno di rivelare dettagli sulle attività di sorveglianza del Governo e sui dati prelevati dall’Nsa e dalle altre organizzazioni coinvolte nelle questioni di sicurezza nazionale. Ma Twitter non ha accettato passivamente l’imposizione del Governo, e ha deciso di ricorrere alle vie legali, appellandosi al primo emendamento della Costituzione Usa, quello che garantisce a tutti i cittadini americani la libertà d’espressione. Che il Governo avrebbe violato impendendo al social Network di essere “trasparente” come avrebbe voluto

La posizione critica di Twitter rispetto alle richieste del governo è nota fin da quando cominciarono a trapelare le prime carte e da quando Edward Snowden iniziò a rendere pubblici i primi documenti sul tema: ne veniva fuori un quadro in cui soltanto Twitter si opponeva con forza alle richieste dell’amministrazione per difendere la privacy dei propri utenti, mentre tutti gli altri giganti del settore, “scottati” da quanto era successo agli albori della vicenda a Yahoo!, che a un iniziale rifiuto si era visto contrapporre la minaccia di una multa di 250mila dollari per ogni giorno di ritardo nella fornitura dei dati richiesti.

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