De Brabant: “Cambiare per cambiare. Solo così si fa l’Italia digitale”

Il presidente di Between: “Modificare l’approccio e rompere gli schemi per dare la spallata allo status quo”

Pubblicato il 29 Set 2014

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Cambiare per cambiare: è questo il titolo dell’evento annuale organizzato da Between a Capri il 2 e 3 ottobre che vedrà riuniti, come da tradizione, i principali protagonisti ed esperti dell’industria Ict italiana e internazionale nonché i rappresentanti delle istituzioni – governo, parlamento e authority – in un confronto che si annuncia quanto mai dirimente in una fase in cui l’Italia è chiamata a confrontarsi con la sfida dell’economia digitale, uno dei pilastri portanti per la ripresa del Paese e per il ritorno alla competitività e alla crescita. “Per imprimere la svolta, quella vera, è necessario che tutti gli attori in campo diano il proprio contributo al cambiamento, cambiando essi stessi con forza. Per cambiare il destino del Paese bisogna cambiare approccio e rompere gli schemi. Insomma è tempo di dare una spallata vera allo status quo”, sottolinea il numero uno di Between, Francois de Brabant.

Cambiare per cambiare, dunque. Ma come?

Dobbiamo verificare se concordiamo su quattro affermazioni: il mondo sta cambiando a velocità crescente; la sostenibilità di una nuova fase di sviluppo passa attraverso una profonda innovazione; la nostra capacità di innovare come attori sia della domanda sia, soprattutto, dell’offerta, si dimostra spesso disomogenea e inadeguata; dobbiamo quindi cambiare radicalmente modelli e comportamenti affinché Ict e digital vengano riconosciuti come leve di sviluppo. Se concordiamo tutti sul fatto che queste quattro affermazioni descrivono la realtà che dobbiamo affrontare, allora è possibile che si riesca ad avere la forza per cambiare e innovare.

E crede che ci sia visione di insieme?

Nonostante siamo tutti convinti del potere che l’innovazione ha nell’imprimere la svolta, in realtà le cose da fare sono ancora molte. L’industria dell’Ict in Italia non è ancora riuscita a farsi valere nei confronti delle istituzioni e di chi hai il potere politico e gli strumenti per innescare il cambiamento vero. Ma davvero non c’è più tempo: il ciclo della crisi non si è chiuso e il rischio è grosso. Solo la percezione vera dei rischi derivanti dalla potente innovazione in atto può portare a nuova progettualità e a quella spallata, che ripeto, è indispensabile. Bisogna prendere atto della realtà e della discontinuità: senza consapevolezza vera non si può cambiare. E i primi a dover essere consapevoli devono essere i decisori pubblici e privati. Per questo la tavola rotonda finale a Capri l’abbiamo titolata “Il cambiamento comincia dalla testa”.

In concreto tutto ciò si traduce in cosa?

Le faccio un esempio per tutti, quello centrale della scuola. La questione non è che la scuola deve cambiare perché il digitale impone il cambiamento, ma perché è cambiato il mondo e si sono rotti gli schemi. Stanno cambiando i modelli di consumo e i modelli di business e abbiamo poche certezze. In questo contesto la scuola deve preparare i giovani ad avere un ruolo nell’economia del 21° secolo. Il linguaggio è diverso e per la prima volta nella storia gli studenti ne sanno più degli insegnanti in quanto all’uso degli strumenti tecnologici. Il compito dei docenti resta centrale ma non come depositari del sapere, ma come abili navigatori in grado di guidare i giovani alla scoperta e alla comprensione con spirito critico delle tante fonti di cui oggi possiamo disporre. È una grande operazione necessaria. Ci sono già molti innovatori nella scuola italiana ma vanno portati a sistema.

Il governo cosa può fare?

Innanzitutto riconoscere la filiera dell’Ict e del Digital come partner necessario per innovare e crescere. Questo vuol dire contemporaneamente pretendere progettualità e negoziare innovazione e non solo riduzione di prezzo tipico delle commodities. Un esempio forte di cui parleremo a Capri: la spending review. Da un lato l’Ict e il digital possono essere la leva per fare spending review e dall’altro bisogna anche andare a fare spending review sull’Ict stessa, ossia capire quali spese sono ridondanti e tagliarle, altrimenti si aumentano i costi senza apportare benefici veri. La tecnologia non è un taglia-spese se non la si utilizza in modo corretto e proattivo. In altre parole utilizzare Ict e Digital per offrire servizi di qualità ai cittadini e imprese, riducendo i costi della PA.

Ma ci sono le competenze?

Certo che sì. È inutile che ci nascondiamo dietro un dito. Sul mercato ci sono i professionisti in grado di indicare la strada attraverso soluzioni adeguate. C’è intelligenza nella domanda pubblica e privata e nell’offerta. Quel che manca è una politica industriale dall’alto, una vision.

Ce la possiamo fare?

Si se ci si mette in gioco davvero. L’innovazione non è una commodity ma un processo di cambiamento. Il modello di business che funzionava fino a qualche tempo fa è stato completamente scardinato. L’offerta non fa più rima con prodotto, ma con servizio orientato alla customer experience. Lo hanno capito bene i grandi attori digitali mondiali che non a caso hanno una forza dirompente senza precedenti. In Italia non c’è dialogo fra domanda e offerta. È questo il nodo da sciogliere. E bisogna scioglierlo con rapidità. La programmazione dei fondi Ue 2014-2020 prevede 54 miliardi di risorse a disposizione dei progetti “smart” e l’Italia non può permettersi di perdere il treno. Cambiare, dunque, per cambiare.

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