E-SKILLS

Deficit di laureati Ict, l’Europa suona la carica

Troppo esigua l’offerta di figure specialistiche a fronte della domanda delle aziende. Partono i programmi targati Commissione Ue: ma gli Stati dovranno impegnarsi di più

Pubblicato il 24 Dic 2014

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Il fossato è profondo. Peggio: non cessa di allargarsi. Stime della Commissione Ue attestano che in Europa la domanda di figure professionali nell’Ict, che peraltro già inciderebbero per il 7,3% della forza lavoro complessiva, cresce al ritmo del 3% annuo. Ma le percentuali di laureati in discipline scientifiche, in particolare informatica e ingegneria, sono in caduta libera sin dal 2005. Di questo passo, è il mantra scandito a Bruxelles, l’Europa entro il 2020 accumulerà da 730mila a 1,3 milioni di posti di lavoro vacanti, a seconda degli scenari.

Una proiezione peraltro già rivista al rialzo. Perché certi valori, per inciso, non conoscono la crisi. “L’Ict ha una crescente importanza critica per aziende e PA, e i budget ad esso dedicati in questi anni, inclusa la parte per le risorse umane, non sono stati ridotti, anzi semmai accresciuti”, dice la Commissione. Per farla breve, “l’Europa è alle prese con un paradosso sociale gigantesco: disoccupazione alle stelle a fronte di una vasta carenza di mano d’opera nel vasto alveo dell’occupazione legata al digitale”, ha scritto l’ex Zarina europea al digitale, Neelie Kroes.

Il problema è però più acuto. Quattro occupati europei su dieci mostrano competenze digitali insufficienti o non pervenute. E le cose non vanno bene nemmeno sul versante dell’istruzione che invece è uno snodo cruciale per la diffusione delle e-skill. Secondo un recente studio della Commissione, tra il 50 e l’80% degli studenti europei dichiara di non aver mai utilizzato un manuale digitale o un software informatico tra i banchi scolastici, e appena il 20% può contare su insegnanti con un buon livello di alfabetizzazione informatica.

Al cospetto di questo scenario di certo non roseo, Bruxelles ha negli ultimi anni provato a suonare la carica. Inizialmente in punta di comunicazioni politiche. Più di recente con iniziative concrete. Come la “Grand Coalition for Digital Jobs and Skills”, la partnership promossa dalla Commissione nel 2013 che poggia sull’impegno congiunto di aziende del settore (tra cui Nokia, Sap, Cisco, Hp), associazioni di categoria (Digital Europe, EuroCio, CioNet), Stati membri, università e società civile nella creazione di nuovi posti di lavoro, l’avvio di stage, attività di formazione e corsi universitari più mirati, il finanziamento di startup, etc.

Sotto l’ombrello della “Grand Coalition” rientra anche E-skills for jobs, la campagna europea di sensibilizzazione e comunicazione che si è brillantemente conclusa con un evento di alto profilo allestito a Roma nel mese di ottobre. E che proprio in virtù dell’ampio successo registrato verrà riproposta in chiave potenziata per i prossimi due anni. In parallelo, la Commissione Ue ha moltiplicato le azioni anche sul terreno dell’imprenditoria, in specie creando Startup Europe, la prima piattaforma paneuropea dedicata al sostegno delle startup del vecchio continente. Con una triplice missione: promuovere gli investimenti, sostenere la visibilità delle realtà emergenti, diffondere la cultura imprenditoriale.

Senza dimenticare il piano d’azione “Opening up Education” che Bruxelles ha messo in pista sempre nel 2013 con l’obiettivo incentivare l’innovazione e le competenze digitali nelle scuole e nelle università. Il lavoro continua oggi a tamburo battente. La nuova Commissione europea presieduta da Jean-Claude Juncker ha inserito la diffusione delle competenze digitali tra le priorità politiche del suo mandato. Nei palazzi comunitari si sta confezionando la prima Strategia europea in materia di competenze digitali, il cui lancio è programmato per il 2015: il documento dovrebbe tracciare la rotta per le iniziative future a livello europeo, e allineare raccomandazioni specifiche per rendere più coordinate ed efficaci le politiche nazionali.

Anche gli sforzi finanziari profusi dalle autorità comunitarie sin qui non sono stati da meno. Per un verso, i programmi europei Horizon 2020 e Cosme mettono sul piatto risorse cospicue a sostegno di startup e Pmi digitali (con finanziamenti individuali fino 2,5 milioni di euro). Decisamente più consistente è inoltre la fetta dei fondi strutturali 2014-2020, in particolare per il tramite del Fondo sociale europeo, assegnata alla formazione professionale e all’istruzione in ambito Ict. In quest’ultima circostanza, tuttavia, il pallino è nelle mani di Stati membri e regioni, i diretti responsabili per la gestione di questi stanziamenti. “Se il privato sta facendo la sua parte, le autorità nazionali e regionali devono ancora dimostrarsi più dinamici”, spiega un funzionario della Commissione europea, “sia in termini di quantità delle risorse impiegate, che nella qualità delle politiche e degli interventi”. La sfida che attende domani Bruxelles sarà quindi anche diplomatica: continuare a persuadere i governi dei 28 che la prosperità futura del continente dipende anche dal modo in cui promuoveranno le competenze digitali dei propri cittadini.

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