INNOVAZIONE

Dieci anni di coworking, il business del nuovo lavoro

Crescono anche in Italia i luoghi dedicati allo smart working. Milano è la città più attiva con oltre 1.600 postazioni ma la pratica si sta diffondendo ovunque specie nelle grandi città

Pubblicato il 13 Dic 2015

Dario Banfi

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Quando nel 2011 i “pirati” della Mutinerie, uno tra i più innovativi coworking di Parigi, salirono sul palco della Coworking Conference di Berlino presentando il decalogo dei vantaggi che le grandi aziende avrebbero ottenuto con l’adozione del modello di lavoro che vive e cresce nei coworking, ai numerosi ospiti in platea sembrò pura fantascienza. Oggi, a distanza di dieci anni dalla nascita del primo coworking ufficiale a San Francisco, le cose sono completamente cambiate. Non è più un tema per sociologi del lavoro, ma interessa chi fa business, crea impresa e vuole attraversare la rivoluzione digitale.

Gli stessi Campus delle più note multinazionali Hi-tech stanno valutando l’opportunità di creare isole protette per ospitare freelance esterni. I coworking attraggono talenti e capitali (WeWork oggi è valutata 5 miliardi dollari!) e sono diventati un porto franco per il lavoro professionale autonomo e start-up tecnologiche. Come racconta Deskmag, che di recente ha avviato la Global Coworking Survey 2015-2016, anticipando qualche risultato, negli ultimi 20 mesi gli spazi di coworking sono cresciuti del 36% in tutto il mondo, arrivando a una cifra intorno alle 8.000 unità. Nascono per durare e hanno ancora grandi opportunità di crescita. Le ragioni sono legate, da una parte, alla trasformazione generale che sta vivendo il mondo del lavoro nella società occidentale, sempre più connessa a sistemi immateriali di produzione, dall’altra questo si deve alla maturità che iniziano a mostrare i coworking già avviati e che stimolano oggi maggiore interesse, partecipazione e perfino competizione. Anche in Italia i luoghi di smart working crescono: la sola rete di Coworking Cowo ne conta oltre 120 in 70 città.

A questa si affiancano numerosissime realtà indipendenti o facenti capo a network internazionali come The HUB Impact o nazionali, come Talent Garden, presente già in 12 città, ma che prevede, dopo l’accordo con il venture incubator Digital Magics, di aprire nuove sedi a Roma e in Sicilia, arrivando per il 2018 a 50 coworking in Italia e nel mondo (compresa Asia ed Est Europa). Milano è la città più attiva, con circa 90 spazi e oltre 1.600 postazioni, e ha raccolto l’interesse della stessa amministrazione comunale che ha aiutato, a più riprese, sia i coworker, attraverso voucher da spendere in servizi, sia chi ha investito in questi spazi. E non è un caso che proprio nel capoluogo lombardo si siano tenuti a novembre la Coworking Europe Conference 2015 e, a distanza di pochi giorni, l’evento nazionale più importante, ovvero Espresso Coworking, arrivato alla sua quarta edizione. Racconta Mico Rao, organizzatore dell’evento: “La tendenza che abbiamo registrato è di una progressiva maturità dei coworking italiani e un desiderio sempre più spinto di fornire servizi allargati, vicini alla filiera che genera valore sul territorio, e indispensabili ai professionisti che scommettono su questa modalità di lavoro”. Molti spazi integrano oggi laboratori artigianali, più o meno tecnologici, come testimonia Toolbox a Torino, che non si definisce più soltanto un coworking, ma un “decentralized creative hub” per il lavoro. Dopo l’iniziale ospitalità offerta a un Fablab accoglie oggi anche un Print Club. Altri stanno sperimentando, invece, il supporto logistico a chi viaggia, fornendo ospitalità.

È il caso di Unità di Produzione, coworking di Milano presente anche su Airbnb. Racconta l’ideatore Nicola Brembilla: “Abbiamo voluto fornire, fin da subito, uno spazio di lavoro e insieme servizi di accoglienza perché chi si sposta per lavoro spesso cerca anche soluzioni pratiche e occasioni di cultura, nuovi contatti ed esperienze di collaborazione”. La conferma di questa tendenza, denominata con un neologismo “coworkation” (coworking e vacation insieme), arriva da Jean-Yves Huwart che, aprendo la conferenza europea a Milano, ha ricordato come sia “una delle novità più recenti di questo mondo, legata alla necessità di associare alla semplice attività di coworking anche facility, cultura ed entertainment”.

In Italia si pongono su questa linea iniziative diversificate, legate, per esempio, alla formazione, come fa TAG, che ospita Master per Web Developer, o Piano C a Milano che fornisce servizi di welfare personale. Più in generale tutti i coworking stanno comunque virando verso questa linea: stimolare sinergie e collaborazione tra coworker, ma proporre insieme eventi eterogenei per facilitare contaminazioni e nuovi business. A questa cultura si stanno avvicinando ambienti storicamente meno attenti al lavoro autonomo: CGIL ha appena lanciato Worx, spazio di coworking in pieno centro a Milano. Con il progetto OOP!, Confcooperative punta invece ad aiutare i giovani imprenditori dell’area digitale che tentano la strada della cooperazione negli spazi di coworking.

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