Digital society, una “carta dei valori” come link fra Chiesa e aziende

Convegno “Core Values” presso la Pontificia Università Lateranense: Chiesa e player del digitale pronti a lavorare insieme per garantire che la persona resti al centro della trasformazione

Pubblicato il 04 Nov 2016

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Nell’era dei dati, degli oggetti connessi e delle auto autonome e dei robot, in cui si parla di intelligenza artificiale e realtà aumentata, che fine fanno l’essere umano e i suoi inalienabili diritti, il benessere delle società e del Pianeta, la felicità e il rispetto per ogni singola persona? C’è ancora un posto per i “valori”? Se ne è discusso oggi a Roma presso la Pontificia Università Lateranense (PUL), dove l’evento “Core Values – The transmission of values in digital age” ha riunito alcuni dei grandi protagonisti dei settori advertising, comunicazioni, nuove tecnologie digitali.

Non solo alcuni attori di queste industrie sono pronte ad aprire un dialogo con la Chiesa sui valori che anche nell’era digitale vanno preservati, ma la Chiesa stessa cerca il dialogo con la cultura digitale. Come ha sottolineato nel suo saluto di benvenuto il Rettore della PUL, il Vescovo Enrico Dal Covolo, “la Chiesa è da sempre digitale nel senso che da sempre si basa sullo scambio”, ma le grandi trasformazioni nel mondo della tecnologia e delle comunicazioni richiedono un’attenzione potenziata affinché la persona, e la sua libertà culturale e spirituale, restino al centro.

La Chiesa dunque non misconosce il patrimonio creato dal digitale e dalla sua economia ma chiede che vi siano “regole per la cittadinanza digitale per garantire che lo scambio di dati e informazioni sia eticamente corretto”, ha affermato il Rettore. “Non spetta alla Chiesa individuare queste regole, ma la Chiesa può fare da bussola sia per le autorità pubbliche che per gli attori privati”; anzi, Dal Covolo ha concluso lanciando l’auspicio che i player del digitale arrivino a una formulare una “Carta universale dei valori per l’economia sociale digitale“.

“La tecnologia non è neutrale”, ha ribadito Msgr. Dario E. Viganò: sì dunque al cambiamento, ma non si può lasciare che la trasformazione digitale crei un mondo disumano. “La persona deve sempre essere centrale, senza distinzione di cultura e dando accesso a tutti affinché nessuno sia escluso dai benefici del progresso”.

I brand mondiali sono oggi pienamente consapevoli di come la reputation e il rapporto col consumatore siano cambiati. Lo hanno ribadito i big dell’advertising presenti all’evento – Dominic Grainger di WPP, Maurice Lévy di Publicis, Jerry Buhlmann di Dentsu Aegis Network. Un prodotto cattivo sarà venduto solo una volta, e il consumatore moderno, molto attento e informato, non crede più alla “reclame”. Perciò i brand, e le agenzie pubblicitarie che veicolano i loro messaggi, integrano nella loro attività la responsabilità verso l’ambiente e le comunità, cercano pratiche sostenibile su tutta la supply chain, conversano col consumatore, ormai protagonista attivo del successo di un’azienda e del processo che porta a creare nuovi prodotti.

“I brand guardano anche all’economia circolare, alla salvaguardia delle risorse, allo sharing”, ha detto Grainger; “la qualità, la fiducia, la sostenibilità, l’onestà del messaggio sono valori ormai percepiti che devono bilanciare la ricerca del profitto”.

“Le imprese non possono fare a meno di entrare nell’era digitale“, ha ribadito Buhlmann, e nell’economia dello sharing e della connettività always-on, “la fiducia nel brand è una esperienza collettiva. Le aziende devono operare in linea con i principi che difendono, dimostrare responsabilità sociale, portare innovazione, cultura inclusiva”.

La trasformazione digitale, insomma, viene riconosciuta come un game changer non solo tecnologico ed economico, ma sociale e culturale: Lévy ha detto che le aziende devono trasmettere valori prendendosi cura dei loro talenti e adottando comportamenti responsabili verso fornitori, partner, clienti, l’intera società e l’ambiente. Nel mondo reso “globale” da tecnologie che uniscono e accorciano le distanze, “la differenza è il valore che celebriamo”, ha continuato Lévy: “La pubblicità alla fine è dare al consumatore scelta e per noi il rispetto di ogni diversità o varietà, di cultura, opinione, orientamento sessuale, abilità o altro, è il vero asset da salvaguardare”.

Proteggere la diversità, le comunità e l’ambiente è fondamentale anche per l’industria della comunicazione, rappresentata all’evento da David M. Zaslav di Discovery Communications (Usa), Kenneth W. Lowe di Scripps Networks Interactive (Usa), Naguib Sawiris di Orascom Telecom (Egitto) e Vincent Montagne di Média-Participations (Francia).

“C’è una precisa responsabilità da parte di chi opera nel settore della comunicazione”, ha detto Zaslav, ricordando che i canali della Discovery Communications raggiungono 3,5 miliardi di persone. “Dobbiamo parlare col linguaggio che tutti capiscono e di cose che veramente sono importanti. Sì, noi facciamo prevalentemente intrattenimento, ma non dimentichiamo il compito di informare correttamente e trasmettere valori, come quelli delle Olimpiadi alle quali abbiamo dedicato un canale”.

La sfida numero uno per le comunicazioni è rappresentata dai canali mobile e social cui sempre più persone si rivolgono per informarsi, ha aggiunto Lowe: “Dobbiamo riuscire a coniugare l’evoluzione digitale con la crescita economica, l’occupazione, il rispetto per la persona” e, di fronte a piattaforme come Snapchat, Facebook, YouTube, che sono flussi massicci di dati senza sosta, a volte dalla durata effimera, i valori si proteggono con “contenuti rilevanti, che informano, che sono fonte di ispirazione”.

Ma senza che ciò porti a contrapposizioni tra online e offline, mondo digitale e mondo tradizionale, ha sottolineato Montagne: dopotutto Média-Participations ha costruito molto del suo successo su un prodotto “classico” che i ragazzi ancora amano: i fumetti. E anche, è intervenuto Sawiris, senza scordare che un flusso gigantesco di dati vuol dire che c’è bisogno di infrastrutture capillari, con capacità e velocità sempre maggiori – un compito di cui si occupano le telco, ma se il loro ruolo si riduce a quello di “tubes” o “pipes”, come potranno questi operatori generare guadagno e recuperare gli investimenti? Chi fornisce i contenuti e chi fa l’over the top si siedano a un tavolo con le telco e si trovino insieme delle “regole di comportamento” accettabili per tutti, propone Sawiris. Oppure siano le autorità e i regolatori a provvedere a riportare equilibrio nei ruoli. Anche sui contenuti il messaggio del magnate egizio è diretto: “Oggi non c’è sufficiente controllo. La Rete propone materiale pornografico o siti di scommesse e i minori vi possono accedere fin troppo facilmente”.

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