LA REPLICA

Facebook: “Noi ‘morti’ nel 2017? Allora anche Princeton”

La risposta del sito social al report dell’Università Usa che ne annunciava l’estinzione: “Applicando lo stesso principio anche il prestigioso ateneo si svuoterà nello stesso lasso di tempo”

Pubblicato il 24 Gen 2014

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Se entro il 2017 Facebook sparirà, nel giro degli stessi anni anche gli studenti di Princeton lasceranno l’Università deserta. È questa in sostanza l’ironica replica a uno studio diffuso ieri da due dottorandi di questo ateneo che, usando gli strumenti dell’epidemiologia per analizzare le tendenze di crescita dei social network, hanno definito la creatura di Mark Zuckerberg un “virus” destinato ad estinguersi. Nel loro articolo John Cannarella e Joshua Spechler si sono spinti a ipotizzare che l’80% degli utenti di Fb lo abbandonerà tra il 2015 e il 2017.

A demolire l’articolo, usando il tocco di fioretto della satira, ci ha pensato Mark Develin, matematico statunitense di fama, attualmente impegnato nel migliorare il motore di ricerca di Facebook, in una nota apparsa oggi e firmata anche dai colleghi Lada Adamic e Sean Taylor. Intitolata esplicitamente “Smontando Princeton“, che demolisce l’articolo dei due laureandi con un’ironia al vetriolo.

Dopo aver sarcasticamente definito “innovativa” l’idea dei due laureandi di dedurre il numero degli iscritti a Facebook dalle ricerche su Google, Develin e i suoi colleghi hanno detto di “voler provare a sfruttarla”. Così, estrapolando dati ricavati in modo analogo da Google, hanno elaborato alcuni grafici da cui si deduce che il numero di studenti e il numero di articoli scientifici prodotti dalla prestigiosa Università di Princeton si ridurranno nel giro di pochi anni a zero, e l’Università stessa sarà presto soltanto un ricordo. Come ultima stoccata hanno aggiunto che, secondo questa “robusta analisi scientifica”, anche l’aria che respiriamo dovrebbe sparire entro il 2060.

Al di là dell’ironia, Facebook ha fatto notare almeno tre criticità nell’analisi degli studenti di Princeton Innanzitutto ha ritenuto improprio il paragone con un virus, perché un servizio di social networking può effettivamente distogliere molta attenzione (ed è stato dimostrato che alcune persone hanno sviluppato forme di social-addiction) “ma questo non significa che funziona in realtà come un virus. Si tratta di processi culturali”.

Fb contesta anche il fatto che i laureandi abbiamo paragonato nel loro studio Facebook con MySpace. “Lo studio non fa menzione – dicono – del fatto, incontestabile, che è stata proprio la creatura di Mark Zuckerberg a seppellire MySpace, quindi devono avere caratteristiche così diverse da rendere inutile un confronto sui loro destini”.

L’ultimo fatale errore dei giovani studiosi è stato aver usato il motore di ricerca: Facebook sa bene di crescere nell’ambiente mobile, sui cellulari, dati che non sono ancora indicizzabili. Il declino delle query su Google non dimostra molto, considerando che oltre la metà del traffico di Facebook proviene dall’attività in connessione mobile.

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