LE INDAGINI

Google nella morsa Usa-Ue: si stringe il cerchio sui dossier advertising

Il dipartimento di Giustizia americano contesta l’abuso di posizione dominante. Big G ha proposto dei rimedi, ma potrebbero non bastare: il Senato chiede lo “spezzatino”. In Europa l’azienda ha offerto azioni correttive sulla compravendita di pubblicità su YouTube. Pressing sulle big tech anche in Cina: multate Alibaba e Tencent

Pubblicato il 11 Lug 2022

Patrizia Licata

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La scure dell’Antitrust americano si abbatte pesantemente su Google e la sua attività nell’advertising. Il doppio ruolo di intermediario e piattaforma per le aste delle pubblicità digitali preoccupa il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (Doj), che ha aperto un dossier sul colosso di Mountain View e che ora sarebbe pronto a muovere causa sostenendo una concentrazione di mercato contraria alle regole sulla concorrenza. Secondo fonti sentite dal Wall Street Journal, per evitare le vie legali Google sarebbe pronta a offrire dei “rimedi”, ovvero a separare alcune delle sue attività legate alle ads in una società autonoma da Google ma sempre sotto l’ombrello della capogruppo Alphabet. Tuttavia, il rischio è che il Doj non sia soddisfatto a meno che Big G non venda parte di questo business.

I guai per Google non finiscono sono qui perché il cerchio dell’Antitrust si stringe anche in Europa. Nell’occhio del ciclone è ancora l’attività di advertising, ma relativa alle tecnologie impiegate sulla piattaforma YouTube. Secondo la strategia che il top management sta perseguendo su entrambe le sponde dell’Atlantico, da Mountain View sarebbe arrivata l’offerta di rimedi per mitigare le preoccupazioni del regolatore. L’Antitrust dell’Ue non ha per ora commentato perché l’indagine è in corso.

Google nella morsa Antitrust anche in Ue

Il dipartimento di Giustizia americano ha avviato le indagini su Google temendo un abuso di potere dominante sul mercato della pubblicità digitale. I timori sono legati al doppio ruolo di broker e auctioneer delle ads di cui Big G potrebbe approfittarsi per avvantaggiare la propria attività a danno dei rivali. Il Doj sarebbe pronto, scrive il Wsj, a portare il procedimento in tribunale sostenendo che le pratiche ad-tech di Google sono anticompetitive. 

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Google ha replicato di essere impegnata in un confronto col regolatore per risolvere queste preoccupazioni e ha ribadito di non avere alcuna intenzione di uscire dal business dell’advertising né di vendere questa attività. “Una rigorosa concorrenza nella tecnologia per le ads ha reso le pubblicità online più rilevanti, ha ridotto le commissioni e ampliato le opzioni per editori e inserzionisti”, ha dichiarato un portavoce dell’azienda.

In Unione europea Google si trova in una situazione simile: è in corso un’indagine degli uffici Antitrust guidati da Margrethe Vestager sulla tecnologia per la pubblicità su YouTube. Il gigante americano avrebbe proposto a Bruxelles come “rimedio” una maggiore apertura ai concorrenti, che potranno fare da intermediari della vendita di ads direttamente sulla piattaforma dei video.
Attualmente gli strumenti di Google possono gestire ogni parte dell’attività di compravendita di ads digitali, rappresentando così sia l’inserzionista che l’editore su una piattaforma per l’asta delle ads online che è sempre Google a gestire. I regolatori americani hanno cercato di chiarire con la loro indagine se Google abusi di questo molteplice ruolo nelle varie fasi della transazione. Mountain View nega di sfruttare la sua tecnologia a proprio vantaggio. Su YouTube, in particolare, l’unico modo per comprare le pubblicità è quello di usare gli strumenti di Google

Advertising e search, fronti aperti negli Usa

L’eventuale causa del dell’Antitrust Usa contro Google per la pubblicità digitale sarebbe il secondo procedimento legale dopo quello avviato nel 2020 per l’attività nella ricerca online. In questo primo caso il dipartimento di Giustizia sostiene che l’azienda abbia usato tattiche anticompetitive per mantenere la posizione dominante nella search. Google ha respinto le accuse e la causa è ancora in corso.  

Google si sta anche preparando ad andare in tribunale per un altro procedimento legale: la causa intentata da un gruppo di Stati Usa guidati dal Texas e che sostiene che Big G gestisca un monopolio nelle ads che danneggia i concorrenti dell’industria della pubblicità e gli editori. I legali di Mountain View hanno presentato istanza di archiviazione affermando che la causa è “piena di inesattezze e priva di merito legale”. I giudici devono ancora pronunciarsi. 

Intanto il Senato Usa ha proposto una rinnovata legge antitrust che costringerebbe Google a scorporare parti della sua attività ad-tech. Intanto in Unione Europea sono stati approvati i nuovi regolamenti sui mercati e i servizi digitali, Digital markets act e Digital services act.

L’anno scorso l’attività di Google come intermediario della vendita di ads su altri siti web e app ha rappresentato circa il 12% dei ricavi totali di Alphabet o 31,7 miliardi di dollari.  

Giro di vite anche in Cina: multate Alibaba e Tencent

Le autorità della Cina hanno imposto multe ai colossi del digitale Alibaba e Tencent, ed ad altre aziende del settore, per violazioni della legge anti-monopolio che impone la disclosure delle transazioni. Lo ha annunciato l’Amministrazione di Stato per la regolamentazione del mercato (Samr), senza precisare l’importo delle multe.

L’authority ha pubblicato una lista di 28 deal che hanno violato le regole in vigore in Cina: cinque di essi coinvolgono il gigante dell’e-commerce Alibaba o sue controllate. Tra le operazioni finite nel mirino della Samr, in particolare, figura l’acquisto di azioni della sua piattaforma streaming Youku Tudou effettuato nel 2021. Al gruppo Tencent sono invece relative 12 delle violazioni che figurano sulla lista dell’authority.

In base alla legge anti-monopoli, le autorità cinesi possono imporre multe per ciascuna violazione fino a 500 mila yuan, circa 75mila dollari. Le multe appaiono in linea di continuità con la stretta operata dal Partito comunista cinese sul settore digitale a partire dalla fine del 2020, quando le maggiori aziende tecnologiche sono finite nel mirino delle autorità di regolamentazione.

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