Industria 4.0, più difficile investire per le imprese che non esportano

Massimo Bellezza, presidente e Ad di Cpm, azienda piemontese che porta in tutto il mondo le sue catene di montaggio per l’automotive: “Per rimanere competitivi abbiamo puntato sullo smart manufacturing in anticipo”. Sul piano del Governo: “Il ministro Calenda saprà dare un nuovo impulso al settore”

Pubblicato il 19 Set 2016

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“Le aziende italiane le dividerei in due blocchi. Chi lavora per il mercato internazionale, che sicuramente sta già investendo su Industria 4.0 per mantenere competitività, e chi invece è concentrato sul mercato nazionale, che quindi è impegnato a trovare il modo di sopravvivere. Per queste aziende passare a industria 4.0 non avrebbe senso se non di fronte a una ripresa forte del mercato domestico. Se riparte l’Italia, ripartirà anche il suo sistema produttivo, e a quel punto il settore manifatturiero dovrà innovarsi “naturalmente”.

A sostenerlo è Massimo Bellezza, presidente e amministratore delegato di Cpm, azienda italiana specializzata nella progettazione e realizzazione di sistemi per la movimentazione interna e la produzione di autoveicoli, nel 1999 entrata a far parte del gruppo tedesco Dürr.

Dottor Bellezza, voi siete un esempio vivente della trasformazione digitale di un’azienda, e del passaggio dall’industria tradizionale a industria 4.0. Un transizione che avete potuto gestire in tempi lunghi, dagli anni 90, e che ora vi vede in prima fila. Cosa della vostra esperienza può essere utile al sistema Paese?

In questi anni non abbiamo fatto altro che adeguarci alla direzione in cui stava andando il mercato, anche perché noi lavoriamo al 90% per l’estero. La verità è che siamo stati obbligati a seguire questa strada, altrimenti non saremmo stati competitivi nei contesti in cui operiamo. Sarebbe stato come voler continuare a vendere i vecchi telefonini invece degli smartphone. Nel nostro caso tra l’altro il passaggio dalle tecnologie tradizionali a industria 4.0 è stato abbastanza complicato, perché non progettiamo una macchina specifica, ma ecosistemi complessi che prevedono la collaborazione e l’interazione di più macchine, nelle catene di montaggio automobilistiche e per il settore aeronautico. Quindi non dobbiamo mirare soltanto a ottenere più efficienza nella manutenzione, con risultati economici tangibili grazie al controllo da remoto, ma anche a far funzionare meglio la produzione, offrendo nuovi strumenti per il management.

A dimostrarlo c’è il fatto che l’impatto della parte elettronica sui nostri impianti negli ultimi anni è aumentato passando dal 25% al 50%, con l’obiettivo di garantire al cliente l’efficienza nella manutenzione e la gestione ottimale dell’impianto e della produzione.

E come vi muovete sul mercato Italiano?

Oggi di investimenti importanti nel nostro settore non ce ne sono. Melfi e Cassino dal nostro punto di vista riguardano ormai il passato. Anche per questo non c’è più spazio per aziende monocliente, e si deve imparare a essere competitivi su scala globale. Oggi lavoriamo in tutto il mondo, anche in Cina, l’unico posto dove non siamo presenti è l’Australia. E’ sbagliato pensare che da noi non si sviluppa Industry 4.0 perché ci sono troppe aziende “familiari”: anche in Germania è così, ma per loro questo non è mai stato un freno. La chiave è nella necessità di essere competitivi su scala internazionale, che in Industria 4.0 vede ormai un fattore abilitante.

Quale può essere il ruolo del governo in questo quadro?

Il ministro Calenda ha tutte le carte in regola e le capacità per dare un contributo importante. Oltre alle politiche specifiche su Industria 4.0, dovrà perseverare con gli accordi per incentivare le esportazioni, creando spazi per un business promettente per tante imprese Italiane. Innanzitutto bisogna creare nuove basi per essere competitivi e per esportare, e cercare di dare fiato al mercato interno. Eventuali incentivi dovranno essere per forza di cose legati a questa competitività. A quel punto non si potrà prescindere dal ricorso a Industria 4.0. Nel nostro caso ad esempio ci siamo fatto tutto da soli. Abbiamo negli anni utilizzato strumenti governativi come il finanziamento per l’innovazione tecnologica, ma quando il mercato ti fa certe richieste per essere competitivo, non adeguarsi significherebbe uscire dal mercato.

Voi fate parte dalla fine degli anni ’90 di un gruppo tedesco. Quali suggerimenti si potrebbero trarre in Italia dall’esperienza tedesca di Industria 4.0?

I tedeschi parlano di Industry 4.0 da 4 o 5 anni, dimostrando una visione industriale molto più avanzata della nostra, dovuta anche al fatto che le imprese tedesche hanno una presenza internazionale molto altra, e una produzione interna molto importante, che li obbliga ad avere un livello di efficienza altissima. Ma anche in certe aree del nord America stiamo assistendo a dinamiche innovative importanti.

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