IL CASO

IoT e cybersicurezza, in Europa è scontro su chi definirà gli standard

Sei stakeholder del Radio equipment expert group contestano la decisione di Bruxelles di escludere le aziende non-Ue dalla consulenza sulle norme per il prossimo Cyber resilience act. Questione di sovranità digitale, ma per i critici si colpiscono i paesi “amici”

Pubblicato il 19 Ott 2022

Patrizia Licata

italia, europa

La definizione degli standard degli oggetti connessi e la tutela della sovranità digitale europea diventano materia di scontro tra il Radio Equipment expert group e la Commissione Ue: sei associazioni all’interno del gruppo di esperti si sono mobilitate contro le restrizioni decise da Bruxelles che limitano la rappresentanza alle aziende dell’Ue-27, Islanda, Lichtenstein, Norvegia e dello Spazio economico europeo.

I sei stakeholder – Mobile & Wireless Forum, Digital Europe, Orgalim, la European Association of Automotive Suppliers (Clepa), Home Appliance Europe (Applia) e Cocir – hanno espresso le loro preoccupazioni in una lettera al commissario europeo per il mercato interno Thierry Breton visionata da Euractiv, chiedendo di prorogare il periodo di grazia fino alla fine del prossimo anno.

L’esclusione delle aziende non-Ue, che Bruxelles ha deciso a maggio 2022 e entrerà in vigore il primo gennaio 2023, è stata giustificata con esigenze di cybersicurezza, perché il gruppo si occupa di temi sensibili. In particolare, è una mossa che intende limitare la posizione dominante raggiunta dalle aziende cinesi come Huawei all’interno degli organismi europei di standardizzazione. 

Decisione Ue “contraria alla cooperazione internazionale”

Il Radio Equipment expert group fornisce consulenza alla Commissione europea in materia di normativa ed è direttamente coinvolto nel processo di aggiornamento della Direttiva sulle apparecchiature radio (che riguarda, per esempio, i requisiti di sicurezza degli oggetti connessi o IoT) che sarà in gran parte sostituita dal prossimo Cyber resilience act.

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La lettera dei sei gruppi di interesse al commissario Breton contesta le restrizioni all’accesso al gruppo perché contrarie al modello europeo di politica aperta e trasparente. Inoltre rappresentano una scelta incoerente rispetto all’idea dell’Ue di cooperazione internazionale in materia di politica digitale, incarnata dal Trade and technology council Ue-Usa e dalla Digital partnership Ue-Giappone.

In merito alle questioni di cybersecurity, i sei stakeholder sostengono che andrebbe incoraggiata, non limitata, la partecipazione delle imprese non-Ue che condividono gli stessi valori dell’Europa unita.

La guerra degli standard in ottica anti-Cina

A febbraio la Commissione europea ha presentato una strategia sulla standardizzazione per garantire che gli interessi e i valori europei si riflettano nelle norme internazionali. La strategia prevede la modifica della governance delle organizzazioni europee di normazione, in particolare l’Etsi (European telecommunications standards institute), che, secondo Bruxelles, è eccessivamente influenzato da attori stranieri.

Ora la Commissione ha pubblicato l’invito a presentare candidature per i membri dell’High-level forum on European standardisation, la piattaforma per coordinare gli sforzi delle parti interessate per difendere gli interessi europei nei processi internazionali di standardizzazione.

Anche in questo caso, uno dei criteri è che i rappresentanti devono avere sede in uno degli Stati membri dell’Ue o “in uno dei paesi che formano lo Spazio economico europeo e non devono essere soggetti al controllo di un paese terzo, né agire direttamente o per conto di un’entità di un paese terzo”.

Una preoccupazione significativa per l’industria è che il nuovo approccio potrebbe allontanare l’Europa da paesi che condividono valori simili come gli Stati Uniti e il Giappone anche se, finora, la questione è stata mantenuta a livello tecnico.

La Commissione europea non ha commentato le notizie riportate da Euractiv.

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