LA RIFORMA

Jobs Act, scatta l’allarme privacy: nel mirino le norme sul telecontrollo

Il Garante per la Protezione dei dati personali teme una pioggia ricorsi per uso “estensivo” dei dati raccolti via smartphone. Ma il ministro Poletti assicura: “Nessun timore, le nuove regole garantiscono i diritti”. A giorni la pubblicazione in Gazzetta dei decreti attuativi

Pubblicato il 21 Set 2015

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Le nuove regole sul controllo a distanza ancora non sono entrate in vigore. A quasi venti giorni dall’approvazione in Cdm dei decreti attuativi del Jobs Act– l’ok era arrivato il 4 settembre – e dalla firma (il 14 settembre) da parte del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, i provvedimenti non sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale e dunque non sono operativi.

Oggi il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha riferito chela pubblicazione degli ultimi decreti attuativi del Jobs Act sulla Gazzetta Ufficiale dovrebbe avvenire tra oggi e domani e comunque nei prossimi giorni”.

La Repubblica ricostruisce oggi la vicenda evidenziando che il governo, volendo mantenere l’impianto originario del testo – controllo a distanza su dvice mobili senza accordo sindacale – non ha tenuto conto dei rilievi della commissione Lavoro della Camera e dei caveat dell’Authority per la Privacy nella doppia audizione parlamentare.

Al punto che ora la stessa Authority, sin qui prudente in attesa dei testi definitivi, teme l’avanzare di un contenzioso infinito. I lavoratori che ritengono di essere stati spiati in violazione della loro privacy e per questo sanzionati o licenziati proveranno la carta difensiva dell’Autorità. Eventualità che non nasconde neanche Palazzo Chigi. “Il testo della norma richiama il codice della privacy, dunque non saranno fatti controlli di massa su tablet, portatili e smartphone, ma a campione – spiega Repubblica un collaboratore di Renzi –E l’Authority può intervenire come vuole, se ritiene ci sia un uso distorto dei dati, ma anche i lavoratori potranno farne ricorso”.

Una matassa di non poco conto da sbrogliare per il governo. D’altronde già nella presentazione della Relazione Annuale, il Garante Privacy Antonello Soro, richiamava l’esigenza di “solide garanzie per evitare che i dati vengano usati ‘contro di noi’». Chiedendo una “cornice” di queste garanzie proprio al Parlamento. “Un più profondo monitoraggio di impianti e strumenti non deve tradursi in una indebita profilazione delle persone che lavorano”, evidenziava.

Per il senatore Pd, Pietro Ichino, si tratta di un falso problema dato che “per 25 anni si sono usati cellulari, pc e gps aziendali – è il ragionamento – senza consenso dei sindacati né loro proteste”. Senza casi giudiziali, né interventi dell’Authority. Per il Garante non è un problema di sindacati, quanto di “effettiva estensione e pervasività di questi controlli”. E di utilizzo dei dati “per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro” anche per i licenziamenti disciplinari. E il punto critico sarebbe proprio questo.

Poletti però assicura che il governo non teme la “pioggia di ricorsi” che, invece, sembra intravedere l’Authority della privacy in vista dell’attesa pubblicazione in Gazzetta ufficiale dei decreti attuativi del Jobs Act, “Il timore dell’Authority sui possibili contenziosi? Io credo che questo timore sarà verificato nel tempo. Noi abbiamo fatto una norma che crediamo sia rispettosa delle regole della privacy e sia rispettosa dei diritti dei cittadini, e – scandisce Poletti- che consenta di avere una normativa chiara. Questo era l’obiettivo e credo siamo riusciti a centrarlo”.

L’articolo 23 del dlgs che verrà licenziato domani iscrive quanto previsto dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori. In pratica le novità riguardano i dispositivi tecnologici (come computer, tablet e telefonini messi a disposizione dei dipendenti dall’azienda) e gli strumenti per misurare accessi e presenze come i badge. “Accordo sindacale o autorizzazione ministeriale non sono necessari per l’assegnazione ai lavoratori degli strumenti utilizzati per rendere la prestazione lavorativa, pur se dagli stessi derivi anche la possibilità di un controllo a distanza del lavoratore”, si legge nel testo.

Negli altri casi, invece, per installare impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo servono l’accordo sindacale o l’autorizzazione da parte del ministero del Lavoro (per le imprese con più unità dislocate in una o più regioni). I dati che ne derivano possono essere “utilizzati ad ogni fine connesso al rapporto di lavoro, purché sia data al lavoratore adeguata informazione circa le modalità d’uso degli strumenti e l’effettuazione dei controlli, sempre, comunque, nel rispetto del Codice privacy”.

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