Nervo (Anfia): “Connected car, esperimenti anche in Italia”

Aurelio Nervo presidente dell’Anfia: “Ma occorre il coinvolgimento di tutta la filiera. Sarebbe importante partire con una serie di sperimentazioni su aree urbane. E’ fondamentale per la ricerca”

Pubblicato il 15 Feb 2016

Deborah Applloni

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«L’industria dell’auto italiana è pronta a cogliere le nuove sfide che arrivano dall’elettronica e dalla connettività e portano verso la mobilità condivisa, il veicolo connesso fino alla guida automatizzata, ma occorre il coinvolgimento di tutta la filiera. Deve essere uno sforzo collettivo». E’ questo l’appello del neo presidente dell’Anfia, Aurelio Nervo, già a capo del comparto Business e Technology Development Automotive del gruppo SKF (componentistica), che invita anche le Telco a collaborare al processo e chiede al Governo la possibilità di creare corridoi specifici per la sperimentazione anche in Italia.

A che punto è l’industria italiana sul veicolo connesso?

Ci sono ancora molti passaggi da fare prima di arrivare a quello che possiamo definire una vera e propria connessione o al limite estremo la guida autonoma. In Italia abbiamo delle eccellenze che stanno lavorando sull’elettronica e sulla meccatronica. Io credo che abbiamo davanti una filiera molto innovativa e anche molto flessibile per adattarsi alle sfide tecnologiche che verranno.

Non siamo in una posizione sfavorevole, ma occorre uno sforzo collettivo: non è più sufficiente quello dei singoli, occorre coinvolgere tutta la filiera anche con gli operatori e le istituzioni, per avviare una riflessione seria, stilare una road map per il passaggio alla guida autonoma.

Anche la digitalizzazione delle nostre imprese può aiutare a fare questo salto ma è necessario una specie di piano di lavoro per i prossimi anni.

Questo vale anche per l’ambiente in cui i veicoli “smart” andranno a muoversi? Le infrastrutture sia in città che nell’extraurbano dovranno essere abilitate e messe in connessione con i veicoli?

Certo, infatti sarebbe molto importante partire con alcune sperimentazioni a livello nazionale, magari su un certo numero di aree sia urbane che interurbane. Si tratta di quello che già stanno facendo in altri paesi europei per mettere in pratica queste nuove tecnologie e poter avere anche un terreno, un banco di prova per le nostre aziende. Si tratta di una questione di primaria importanza per la ricerca e l’innovazione in questo campo.

Quali sono i servizi più richiesti dagli utenti per un veicolo connesso?

Non ho statistiche precise, ma pensiamo al “pay per drive” o al car sharing oppure a tutte quelle forme che oggi stanno spostando l’oggetto dell’attenzione dal veicolo al trasporto, dal possesso dell’auto all’utilizzo del mezzo. Credo che tutta una serie di nuovi servizi offerti da nuovi operatori possano nascere proprio da questo cambio di mentalità che vediamo soprattutto nelle generazioni più giovani. Il possesso dell’auto soprattutto oggi non è più ambito come nelle generazione precedenti, anzi diventa quasi “trendy” desiderare solo all’accesso a questi mezzi di trasporto piuttosto che pretenderne il possesso.

Questo apre delle prospettive molto interessanti che dobbiamo saper cogliere.

In Europa e in America le Telco, le società di telecomunicazioni, si stanno affacciando nel mercato della connected car. In Italia avete avuto dei rapporti?

Sì ci sono stati dei rapporti, ma credo che debbano essere intensificati perché ovviamente nella mappa tecnologica di cui parlavo prima rientrano ovviamente anche le telecomunicazioni.

Vi siete fatti un’idea di come cambieranno alcuni rapporti con l’auto? Per esempio dal punto di vista assicurativo?

Certo. Qui parliamo delle scatole nere per le assicurazioni. Si tratta di un passaggio molto importante nel quale siamo leader in quanto abbiamo già prodotto più di 7milioni di black box.

Abbiamo una stima di quanti veicoli connessi già circolano in Italia?

Non abbiamo dati certi, ma credo un numero più basso. I 7 milioni di scatole telematiche sono effettivamente un dato di produzione e installazione indicativamente a fine 2014 che non ci assicura che i veicoli in questione siano circolanti in Italia.

Non c’è una sorta di database che tiene traccia dei veicoli connessi circolanti sul territorio. Inoltre, una parte degli utilizzatori di queste scatole non avrà rinnovato l’abbonamento per l’anno successivo, perciò stimiamo che, ad oggi, il numero approssimativo sia tra i 5 e i 5 milioni e mezzo di unità attive.

Il mercato dell’ “assicurazione smart” potrebbe far parte della road map che l’Anfia sta chiedendo?

Direi di sì. Sono funzioni che rendono il veicolo più sicuro per chi guida e per le persone con le quali si interfaccia: avere l’abilità di controllare in modo più diretto le prestazioni di chi guida incide anche sui comportamenti, rendendoli più virtuosi.

Crede che l’eCall si possa interfacciare con questa black box?

Penso di sì.

L’Italia è un po’ indietro con l’eCall?

Sì è vero. Diciamo anche che abbiamo qualche problema di banda larga, di autostrade informatiche. Insomma anche questo aspetto andrebbe rivisto in forma collettiva, chiamando a raccolta tutta la filiera.

Ci sono dei progetti Anfia sul veicolo connesso?

Sul veicolo connesso in se no, ma stiamo lavorando molto per ottenere questa road map nazionale e la possibilità di sperimentare sia in ambito urbano che extraurbano.

Sono due cose fondamentali per poter ottenere degli sviluppi concreti in questo ambito.

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