DESI 2017

Italia digitale a due velocità. Avanti tutta sulla fibra ma mancano esperti Ict

Il nostro Paese resta al 25° posto del Digital Economy and Society Index (Desi). Ma rispetto agli anni passati si sono compiuti passi in avanti soprattutto sul fronte delle infrastrutture. Il commissario Ansip invita a fare di più: “Posizione non accettabile”. Giacomelli: “Scaleremo la classifica con la banda ultralarga”

Pubblicato il 03 Mar 2017

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Passi avanti di imprese e timidi progressi nella pubblica amministrazione, ma ancora scarse competenze e poca dimestichezza con i servizi online. L’Italia resta nelle retrovie del Digital Economy and Society Index 2017 (Desi), la graduatoria annuale che fotografa la digitalizzazione nei 28 Stati dell’Unione europea: è 25esima. Solo Grecia, Bulgaria e Romania fanno peggio. Si conferma quindi la stessa piazza del 2016, nonostante un leggero progresso nel punteggio complessivo (da 0,38 a 0,41 ma contro una media Ue di 0,52). Per quanto riguarda l’utilizzo delle tecnologie digitali da parte delle imprese e l’erogazione di servizi pubblici online, l’Italia si avvicina alla media. Rispetto all’anno scorso ha fatto progressi in materia di connettività, in particolare grazie al miglioramento dell’accesso alle reti NGA. Tuttavia, gli scarsi risultati in termini di competenze digitali rischiano di frenare l’ulteriore sviluppo dell’economia e della società digitali. Tradotto: il Paese migliora ma non abbastanza da ricucire la distanza accumulata fino a ora. E in alcuni settori il divario cresce.

Per stilare la classifica, il Desi valuta cinque criteri: connettività, capitale umano, uso di internet, digitalizzazione delle imprese e servizi pubblici digitali. In tutti, l’Italia resta sotto la media continentale, anche se con andamenti diversi. “Per quanto riguarda l’utilizzo delle tecnologie digitali da parte delle imprese e l’erogazione di servizi pubblici online – afferma lo studio – l’Italia si avvicina alla media. Rispetto all’anno scorso ha fatto progressi in materia di connettività. Tuttavia, gli scarsi risultati in termini di competenze digitali rischiano di frenare l’ulteriore sviluppo dell’economia e della società digitali”.

“L’Italia – prosegue il report – ha compiuto progressi significativi grazie soprattutto al forte aumento della copertura delle reti Nga”, cioé quelle in fibra ottica con una velocità di almeno 30 Mbps. Tuttavia “la diffusione della banda larga fissa è ancora bassa, nonostante i prezzi siano diminuiti”. In sostanza, i costi e la copertura tengono il passo degli altri Paesi. Ma l’Italia paga ancora un numero esiguo di sottoscrizioni: la banda larga copre il 12% degli abbonamenti, contro il 37% della media Ue. Guardando al bicchiere mezzo pieno, nel 2015 il dato era fermo al 5%. La connettività italiana è ancora in ritardo (in 24esima posizione su 28) ma ha ridotto la distanza con chi la precede.

Per quanto riguarda il capitale umano, sempre più persone sono online, ma le competenze restano basse in tutti gli indicatori. Il 67% degli italiani accede a internet. Il dato è in crescita rispetto allo scorso anno, ma ancora lontano dalle media europea (79%). Latitano le competenze digitali elementari, ancora pochi sono gli specialisti Ict e i laureati nelle discipline scientifiche (14 individui su mille contro i 19 della media Ue). Il punteggio italiano in questa sezione è rimasto immobile: 0,40. Si è quindi allargato il divario con il resto d’Europa (che invece avanza).

“Il 25esimo posto per l’Italia non è accettabile”, ha commentato il vicepresidente della Commissione responsabile per il Digitale, Andrus Ansip, presentando l’Indice Desi 2017 (Digital economy and society index). L’Italia occupa “ancora il posto 25 in classifica, come lo scorso anno. Ma migliora il suo risultato dello 0,04%”, ha spiegato Ansip. Secondo il vice-presidente della Commissione, “lo 0,04% e’ un miglioramento abbastanza significativo, dobbiamo essere pazienti”. L’Italia ha compiuto “errori” alcuni anni fa in termini di digitalizzazione, ma ora “sta facendo progressi”, ha osservato il commissario. Una delle questioni chiave per l’Italia e’ liberare la frequenza di 700 MhZ per la rete 5G. “Che tipo di futuro i politici vogliono dare ai loro cittadini? Dipende dalle decisioni che prenderanno sulle frequenze 700 MHZ”, ha spiegato Ansip. “Senza 5G sara’ molto complicato creare nuove app. Non sono noccioline”.

L’Unione europea nel suo complesso sta facendo passi avanti nella sua performance digitale, ma il “digital gap” tra i 28 Stati membri continua a essere significativo e servono ulteriori passi avanti per sfruttare appieno le nuove tecnologie. Danimarca, Finlandia, Svezia e Olanda sono in testa alla classifica di quest’anno, seguite da Lussemburgo, Belgio, Regno Unito, Irlanda, Estonia e Austria. Danimarca, Finlandia e Svezia sono anche leader globali, davanti a Corea del Sud, Giappone e Stati Uniti. Slovacchia e Slovenia sono i due Stati membri che hanno registrato progressi maggiori nell’ultimo anno. In fondo alla classifica in termini di sviluppo digitale ci sono Polonia, Croazia, Italia, Grecia, Bulgaria e Romania.

“L’Europa sta gradualmente diventando più digitale ma molti Paesi devono rafforzare i loro sforzi”, ha detto Ansip. “Tutti gli Stati membri devono investire di più per beneficiare appieno del mercato unico digitale. Non vogliamo un’Europa digitale a due velocità. Dobbiamo lavorare insieme per rendere l’Ue un leader digitale mondiale”, ha spiegato Ansip. Sulla base dei risultati del Desi 2017, la Commissione presenterà in maggio la revisione di mezzo percorso della strategia sul Mercato Unico Digitale per identificare quali proposte legislative dovranno essere presentate per affrontare le sfide future.

‘’L’indice Desi 2017 dimostra come la direzione intrapresa sia quella giusta: la crescita italiana sugli indici relativi alla connettività è sostenuta e superiore a quella della media europea – commenta il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli – Tuttavia, la classifica Desi 2017 non tiene conto degli interventi nelle aree a fallimento di mercato che scattano a partire da quest’anno ma soprattutto, essendo un indice solo percentuale, non coglie due elementi che caratterizzano lo sviluppo della banda ultralarga nel nostro paese. Il piano Banda ultralarga, da un lato, consente di avere una rete di proprietà pubblica nelle aree a fallimento di mercato che cha come obiettivo di raggiungere con la fibra ogni cittadino e impresa; dall’altro ha accelerato la competizione infrastrutturale tra privati. Nei prossimi mesi, con gli interventi previsti già oggi e non ancora rilevati dal Desi, l’Italia è destinata a scalare la classifica internazionale: con una metafora calcistica direi che siamo in zona Europa League ma arriveremo in zona Champion’’.

“Quello che emerge dai dati Desi è che l’Italia si è messa in movimento – commenta il presidente di Confindustria Digitale, Elio Catania – Ma a questa velocità non riusciremo a colmare il gap, perché anche gli altri corrono. E più di noi. Dobbiamo essere più veloci, molto più veloci”. “Vedo segnali positivi. Il livello di copertura delle reti sia sul fisso che sul mobile ci vedono quasi a livello europeo. Risultato di una buona azione concordata tra gli investimenti fatti dagli operatori e azioni messe in campo dal Governo”. Una nota positiva viene anche dallo stato di digitalizzazione delle imprese, dove il gap con i principali Paesi europei resta forte ma in calo. “Sono convinto che il prossimo anno, quando si vedranno i primi effetti del piano Industria 4.0, la nostra posizione sarà ancora migliore. Ma non dobbiamo accontentarci. L’Italia deve ambire ad essere tra i primi 3, massimo 5 posti”.

Per Luca Gastaldi, Direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano, i dati del Desi non stupiscono. “I risultati che vi vedono al 25esimo posto non sorprendono – dice Gastaldi – anche se non sono ancora considerate le diverse iniziative messe in campo dal nostro Paese nel 2016: dalla nomina di Diego Piacentini come commissario straordinario all’attuazione dell’Agenda Digitale ai 2,6 miliardi messi a disposizione dal Mise per la copertura in banda larga delle aree bianche; dall’avvio di Spid, il Sistema Pubblico di Identità Digitale, al rilascio del nuovo Codice di Amministrazione Digitale”.

“Purtroppo- segnala l’esperto del PoliMi – anni di mancati investimenti in innovazione digitale hanno creato una situazione così critica che non si poteva pretendere di ribaltarla in poco tempo. Gli altri Paesi non stanno a guardare e stanno provando come il nostro, forse con più determinazione, a cogliere i benefici di una trasformazione digitale”.

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