L'EDITORIALE

L’Italia del digitale alla prova 2018: instabilità politica macigno sulla crescita

In vista dell’appuntamento elettorale le aziende hanno già “congelato” gli investimenti. Le previsioni per il prossimo anno sono al rialzo, ma perderemo un punto percentuale rispetto al “record” 2017. La mancata trasformazione digitale della PA resta la principale criticità. E bisognerà fare sempre più i conti con la questione delle competenze

Pubblicato il 07 Dic 2017

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L’Ict italiano è tornato a crescere. E il comparto si prepara a salutare il 2017 con performance che non si registravano ormai da anni. Il giro d’affari ha toccato i 30 miliardi e la crescita rispetto a un anno fa– concordano i principali istituti di analisi e le maggiori associazioni di settore – è del 3%, decimale più decimale meno. Quasi l’80% delle aziende IT prevede di chiudere col segno più, il 24% fra il +2,5% e il +5%, e il 26% con incrementi superiori al 5% (fonte Anitec-Assinform/Istat). La crisi, insomma, è alle spalle.

Eppure la ripresa rischia una brusca frenata. Il 2018 per l’Italia del digitale (e non solo), non sarà un anno facile: l’attesa per il voto elettorale e poi quella legata alla formazione del nuovo governo di fatto “congeleranno” il Paese – come sempre nelle tornate elettorali – per diversi mesi. L’ibernazione è già in atto, complice la stagione invernale: i piani di investimento per il nuovo anno da parte delle aziende del settore sono all’insegna della prudenza. Solo il 17% prevede di aumentare la spesa a fronte di una maggioranza – il 66% – che stima di rimanere in linea con il 2017 e di un 17% che invece si prepara a ridurre i budget (fonte Assintel-Cfmt-Idc Italia). Non a caso le stime messe nero su bianco per l’anno a venire da parte delle associazioni di categoria, in primis da quelle della famiglia Confindustria, sono decisamente al “ribasso” rispetto alla situazione attuale: si continuerà a crescere, certo, ma fra l’1,5% e l’1,9%. Insomma è previsto un punto percentuale di crescita in meno e bisogna augurarsi di rimanere nella parte alta della forchetta. Per chiudere il nostro gap d’innovazione con l’Europa sarebbe necessario un raddoppio degli investimenti nei prossimi cinque anni. Ma a questo punto sarà davvero difficile raggiungere il traguardo e anzi si rischia anche di allungare la distanza.

Anche perché, diciamocelo, sulla strada nazionale restano ancora parecchi ostacoli, in primis quello della mancata trasformazione digitale della PA, che continua a “zavorrare” l’economia e a rallentare la corsa del digitale italiano. Lo Spid, che doveva fare da testa d’ariete, è ancora in fase “embrionale”. E ci si chiede se non sia auspicabile uno switch off per dare una spinta forte alla digitalizzazione del pubblico visto che le resistenze si stanno dimostrando ben più forti di quanto immaginato. Il prossimo anno peraltro le PA – al netto di quella centrale – chiuderanno la borsa della spesa Ict. Nel 2018, inoltre, scadono i mandati di Antonio Samaritani (in primavera), direttore di Agid, e di Diego Piacentini a capo del Team digitale.

Last but not least ci si dovrà confrontare – e speriamo non scontrare – con la questione delle competenze, da molti considerata la priorità dell’agenda 2018. La disoccupazione giovanile potrebbe trovare risposta proprio nel digitale: centinaia le offerte delle aziende Ict che restano “inevase” poiché sul mercato non si trovano figure adeguate. Alcune aziende stanno cercando di supplire attraverso la formazione di risorse interne o di corsi ad hoc per i giovani new entrant, ma è evidente che la questione va affrontata strutturalmente dall’alto e che il sistema educativo italiano non può più permettersi di formare studenti con skill inadatti, mandandoli allo sbaraglio.

Insomma l’orizzonte è denso di nubi. A questo punto dobbiamo augurarci che non si crei una situazione di instabilità politica e governativa, nella peggiore delle ipotesi di stallo totale, tale da mandarci al voto più di una volta, come accadeva ai tempi della Prima Repubblica. Tempi però in cui il digitale non esisteva, l’economia non era globalizzata e la finanza non faceva la differenza. Oggi l’instabilità politica pesa molto di più in termini di punti di Pil, di credibilità e quindi di investimenti. E nella maratona digitale l’Italia non può permettersi di farsi superare più di quanto non abbia già fatto.

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