Ngn, così le reti risponderanno ai servizi “bandwith hungry”

Pubblichiamo il secondo contributo di Fulvio Ananasso su come Internet cambia le reti. Un’infrastrutturazione capillare a banda ultralarga è prerequisito essenziale per sfruttare le potenzialità della Rete del futuro, stimolare la creazione di nuova occupazione e la crescita economica

Pubblicato il 18 Mag 2017

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La velocità / banda sempre più ampia richiesta dal continuo aumento di traffico IP nonché dalla crescente popolarità di servizi “bandwith hungry” (video, file sharing, online gaming, cloud computing, ecc.) impone la necessità di realizzare reti di nuova generazione, sia fisse che mobili, sempre più veloci e performanti — NG(A)N, next generation (access) network. Recenti stime del FTTH Council Europe indicano in 137 miliardi di euro la cifra necessaria per una NGN pan-europea — 100% di case “passate” (cioè potenzialmente collegabili in fibra ottica) e 50% di abitazioni realmente “connesse” in tecnologia fiber to the home (FTTH). La Commissione europea indica una cifra un po’ più alta (154 miliardi di euro) a fronte di ipotesi leggermente differenti, tra cui un alto tasso di ri-uso dei dotti / infrastrutture passive — che sottolineano l’importanza di un adeguato ‘catasto’ tematico SDI (spatial data infrastructure), come il Sistema informativo nazionale federato delle infrastrutture (SINFI).

Una infrastrutturazione capillare a banda ultra larga del territorio è infatti un prerequisito essenziale per poter sfruttare le potenzialità dell’internet del futuro, stimolare la creazione di nuova occupazione e la crescita economica. Si parla di +1,5 % PIL per ogni 10% di copertura aggiuntiva a banda ultra larga (BUL), e una ricerca AGCOM del 2009 sottolineava come una copertura BUL del 50% della popolazione italiana portasse fino a +3 % PIL, con un impatto sull’occupazione di circa 250.000 unità lavorative.

Relativamente alla rete fissa, si cerca di portare la fibra ottica (che permette elevatissime larghezze di banda) il più vicino possibile all’utente finale, minimizzando (o annullando) il tratto in rame per l’accesso d’utente, realizzando architetture FTTH / FTTU (fiber to the home / unit), FTTB / dp (fiber to the building / distribution point) o FTTC (fiber to the cabinet). Non tutte le utenze verranno realisticamente raggiunte in fibra nel breve / medio periodo, ma si avrà FTTH o FTTB per le unità immobiliari (UI) metropolitane e (almeno) FTTC per le altre — oltre alle reti wireless / satellitari come complemento e/o copertura di aree scarsamente servite dalla rete fissa ultrabroadband (e.g. fixed wireless access, FWA). Si potranno in tal modo fornire ad ogni utente da centinaia di megabit al secondo (Mbps) a qualche gigabit al secondo (Gbps), a patto che il tratto finale in rame (nel caso di configurazioni diverse da FTTH) sia molto breve.

L’Agenda Digitale Europea prevede la fornitura entro il 2020 di 30 Mbps a tutta la popolazione di 100 Mbps (simmetrici) al 50% degli abbonati. Il quadro regolamentare UE per tali iniziative di infrastrutturazione definisce peraltro alcuni vincoli specifici, per cui non è possibile:

– assegnare contributi o incentivi ad un Operatore senza procedura di evidenza pubblica;

– definire sistemi di assegnazione di contributi che non garantiscano neutralità tecnologica e una vera apertura alla concorrenza;

– ipotizzare il controllo integrale da parte di un Operatore integrato (e.g. TIM) su tutta la nuova rete sovvenzionata con fondi pubblici;

– non garantire ex-ante che le reti incentivate possano essere aperte e offerte in condizioni di parità di accesso a tutti gli Operatori;

– non rispettare gli «Orientamenti Comunitari» per tutti gli interventi pubblici in materia di banda larga;

– non prevedere meccanismi di “claw-back” (restituzione di incentivi e agevolazioni statali) in caso di sovraprofitti.

Per raggiungere l’obiettivo del 50% degli abbonati, il Piano del Governo sulla banda ultra larga – approvato dal Consiglio dei Ministri il 3 marzo 2015 – punta coprire a 100 Mbps l’85% della popolazione. In ossequio alle direttive UE sulla neutralità tecnologica, il piano del Governo privilegia reti ottiche il più vicino possibile alle abitazioni, ma ne considera anche altre, includendo nell’infrastruttura BUL le varie opzioni disponibili — wireline, wireless e satellite per le tecnologie di trasporto e accesso; cavidotti, mini-trincee, soprasuolo, aeree, … per quelle di posa.

Secondo stime Infratel (MISE), i costi di una rete a copertura nazionale in fibra fino agli armadi (FTTC @ 30 Mbps) ammontano a circa 4 mdi €, quelli di una fino al palazzo (FTTB @ 100 Mbps) a circa 19 mdi € e di una fino all’abitazione (FTTH @ 1 Gbps) a circa 23 mdi €. Il piano governativo prevede al momento un costo complessivo di circa 12 miliardi e mezzo di euro, di cui circa la metà pubblici, auspicando la mobilitazione di altrettante risorse private – circa 4 miliardi aggiuntivi rispetto ai circa 2 miliardi presenti nei piani degli Operatori. I fondi pubblici dovrebbero servire per agevolazioni al passaggio da rame a fibra, sgravi fiscali per gli Operatori in zone a fallimento di mercato, interventi diretti sulla rete e incentivi agli utenti per la migrazione a 100 Mbps (e oltre).

Il piano del Governo individua 4 tipologie di aree geografiche (“cluster”): A (aree redditizie destinate all’intervento degli Operatori, incluse quelle ‘nere’ con più di un Operatore presente, ~15% della popolazione con ~9,4 milioni di persone); B (aree marginali, incluse le ‘grigie’ con un solo Operatore e alcune ‘nere’, ~45% della popolazione con ~28,2 milioni di persone, dove senza i finanziamenti pubblici le sole condizioni di mercato non sarebbero sufficienti a garantire ritorni accettabili per investire in reti a 100 Mbps); C (aree ‘bianche’ attualmente a fallimento di mercato, incluse aree rurali, ~25% della popolazione con ~15,7 milioni di persone, per le quali si stima che gli Operatori possano maturare l’interesse a investire in reti a più di 30 Mbps soltanto grazie a un sostegno statale) e D (aree marginali ‘bianche’ attualmente a fallimento di mercato, ~15% della popolazione con ~9,4 milioni di persone, per le quali solo l’intervento pubblico può garantire alla popolazione residente un servizio di connettività a 30 Mbps).

Il territorio italiano è stato poi suddiviso in 94.645 aree per definire un numero limitato di “geo-tipi” in base alla concentrazione della popolazione, caratteristiche del territorio, densità di imprese e presenza di infrastrutture BUL, ecc., onde dimensionare l’intervento pubblico in modo mirato rispetto alla tipologia di area e all’obiettivo di copertura, allo scopo di rendere disponibile l’infrastruttura a banda ultralarga al maggior numero possibile di persone. Il Governo ha dichiarato l’obiettivo dei 100 Mbps nei cluster A, B e (in parte) C, e dei 30 Mbps nel cluster D, eventualmente ricorrendo ad una ulteriore parcellizzazione del territorio nazionale, in modo da avere una mappa sempre più dettagliata delle aree ‘bianche’ e ‘grigie’ – fino alla mappatura dei singoli edifici secondo il modello francese, realizzando e utilizzando opportunamente il Catasto nazionale delle infrastrutture (SINFI), con ciò rendendo più agevole la modulazione dei bandi e il cablaggio di tutti gli edifici nelle aree a fallimento di mercato (C e D) senza “zone d’ombra” in digital divide.

Le Regioni italiane hanno il compito di declinare il Piano BUL nazionale relativamente ai propri territori, utilizzando tutti gli strumenti programmatici disponibili. A titolo di esempio, il Piano banda ultra larga della Regione Lazio, presentato l’11 marzo 2015, interpreta su scala regionale lo schema della strategia governativa BUL, portando entro il 2020 la connettività a 30 Mbps a tutto il territorio del Lazio, e 100 Mbps al 50% della popolazione e a tutte le sedi delle Pubbliche Amministrazioni, comprese scuole e strutture sanitarie pubbliche. Il Piano prevede 161 milioni di euro a valere sulla programmazione europea 2014-2020 (121 milioni FESR e 40 milioni FEASR), che si aggiungono ai 25 milioni di euro inutilizzati dalla vecchia programmazione 2007-2013 (FESR e FEASR) e fondi FAS nazionali. Nell’ambito di un Accordo Quadro con il MISE, il “Programma Lazio 30 mega” si prefigge di realizzare entro il 2020 la connettività a 30 Mbps per i 336 Comuni del Lazio nelle aree a fallimento di mercato (‘bianche’), che non risultano inseriti nei piani di sviluppo degli Operatori.

In realtà, i 100 Mbps (e non 30 Mbps) sono da molti consideranti l’obiettivo minimo da realizzare, da incrementare non appena possibile o richiesto dal mercato. La Gigabit Society indica infatti entro il 2025 almeno 100 Mbps per TUTTI, 1 Gbps per i principali “socio-economic drivers” (scuole, università e centri di ricerca, ospedali, distretti industriali, “hub” di trasporti, … ) e un servizio affidabile e continuo 5G in tutte le aree urbane e principali vie di comunicazione – con almeno una grande città in 5G per ciascun Stato membro entro il 2020.

Si pensi che in Estremo Oriente e USA già oggi sono disponibili reti di accesso a oltre 1 Gbps, e si stanno realizzando reti di utente a molti Gbps. Pertanto, una progettazione “future proof” dovrebbe tenere conto di tali trend, e fare in modo che le infrastrutture passive dispiegate siano compatibili con la possibilità di terminarle con apparati elettronici che ne consentano l’impiego a velocità sempre crescenti ed in linea con le necessità delle applicazioni.

Fortunatamente, anche in Italia i piani degli Operatori prevedono velocità di banda nella principali città ben superiori a 100 Mbps. Secondo tali piani, le 502 città più importanti (cluster A e B, pari a ~60% della popolazione con ~17 milioni di unità immobiliari, UI) disporranno entro il 2020 di fibra fino al palazzo (FTTB) o all’abitazione (FTTH), con accesso ai Gbps. Un altro 25% della popolazione avrà fibra fino agli armadi (FTTC) e local loop ADSL2+ / VDSL2 vectoring / G.Fast o simili (che già oggi consentono velocità ultrabroadband), mentre il restante 15% della popolazione (aree rurali o scarsamente popolate) avrà realisticamente accesso a decine di Mbps con tecnologie miste wireline (fibra, ADSL) e wireless / satellite.

TIM sta sperimentando il multi operator vectoring (MOV) per assicurare 200-300 Mbps in tecnologia FTTC + eVDSL, e a breve fornirà connessioni FTTH a 1 Gbps.

Vodafone, presente con servizi in fibra in 970 centri, ha già in catalogo offerte commerciali a 1 Gbps a Milano, Bologna, Torino, Perugia, Bari, Catania, Cagliari e Venezia, oltre che nei distretti industriali di Moncalieri (TO), Cologno Monzese (MI), Carpi (MO), Modena, Forlì Ospedaletto (FC), Modugno (BA), Surbo (LE) e Arzano (NA).

Open Fiber, grazie alla disponibilità di accessi d’utente della rete Enel, si prefigge di realizzare una rete NGN FTTH wholesale only, sia attiva che passiva, da affittare agli Operatori interessati senza fornire direttamente servizi di interconnessione agli utenti finali, ma solo accesso all’ingrosso per gli Operatori che forniranno tali servizi. Sono attualmente disponibili connessioni FTTH (in tecnologia gigabit passive optical network, GPON, per le utenze residenziali e point to point, P2P, per quelle business) a 1,2 milioni di UI (1,5 milioni nel 2017), mentre il programma complessivo per la banda ultra larga prevede la sviluppo della rete in 6 anni (fino a 2,5 Gbps per utente) su 271 comuni italiani, la posa di 4 milioni di km di fibra per circa 9,5 milioni di unità immobiliari da servire e 15.000 nuovi posti di lavoro. Nove Operatori (Connesi, Fastweb, Go, TecnoADSL, Tiscali, Umbrianet, Unidata, Vodafone e Wind-Tre) sono già attivi con servizi operativi in 13 comuni (Torino, Milano, Padova, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Perugia, Napoli, Bari, Catania, Palermo e Cagliari), e altri 48 sono attualmente in fase di contrattualizzazione. Si prevede di coprire altri 81 comuni nel 2017 e i restanti 177 dal 2018 in poi.

Le aree C e D (fallimento di mercato) sono gli obiettivi di Infratel (MISE), che ha in cantiere bandi per realizzare infrastrutture passive pubbliche (di proprietà di Enti centrali e/o locali come Stato e Regioni) da affittare agli Operatori per poter servire le ~15 milioni di UI dei relativi cluster, che insieme alle ~17 milioni di UI dei cluster A e B, completano i ~32 milioni di unità immobiliari del Paese da coprire entro il 2020.

Qui il primo articolo della serie “Interconnessione, accesso e net neutrality: lo spariglio di Internet”

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