Non solo persone. Con il 5G dialogheremo con le cose

Questo il paradigma: la tecnologia dovrà essere una serie di smart pipes adattabile alle esigenze dei servizi erogati

Pubblicato il 17 Dic 2016

Guido Ponte, Chief Economist di Tim

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Per una tecnologia che deve ancora arrivare e i cui standard non sono ancora definiti il 5G ha sicuramente attirato su di sé un’attenzione considerevole. È vero che si tratta di una tecnologia che promette di cambiare l’utilizzo e di accrescere ulteriormente la pervasività dei servizi di rete mobile è anche vero però che già con il 3G e il 4G, ma soprattutto grazie all’avvento degli smartphone, siamo passati da fare mere e semplici telefonate a potere contare su una vera e propria “finestra sul mondo”. Oggi utilizziamo lo smartphone per prenotare un ristorante o un hotel, chiamare un taxi, guardare le previsioni del tempo, controllare la pagella dei figli, fare la spesa e molto altro… Ma allora cosa potrà mai fare di più il 5G, cosa cambia rispetto al 4G? Sicuramente aumenteranno ancora le prestazioni… ma la vera novità consiste nel fatto che questa tecnologia viene espressamente pensata, immaginata e concepita per poter interagire direttamente con gli oggetti (e non solo con le persone). Questo è il vero cambio di paradigma abilitato da questa nuova tecnologia.

Comunicare e interagire con oggetti significa necessariamente rispondere e adattarsi ai loro parametri di funzionamento. Gli individui sono molto più flessibili delle macchine, se un qualcosa non funziona noi siamo in grado di capirlo e interveniamo di conseguenza, quando si tratta di macchine la cui azione è guidata da remoto le conseguenze di un non funzionamento o di un non rispetto di un parametro prestabilito possono essere devastanti. L’esempio più semplice che mi viene in mente a questo proposito è quello di un’ipotetica auto del futuro (senza conducente) la cui frenata azionata con qualche millesimo di secondo di ritardo può costare la vita a delle persone. Servizi e utilizzi differenti richiedono prestazioni differenti. Per esempio la gestione di una flotta di droni richiede mobilità (e quindi tutte le risorse e le funzioni che servono per il passaggio da una cella alla cella adiacente) , mentre invece il controllo dell’irrigazione di un campo di grano avviene attraverso sensori “statici” che non richiedono quindi funzione di mobilità ma che invece, per durare a lungo (con le stesse batterie), necessitano di poter contare su un basso consumo energetico.

Ad oggi siamo sempre stati abituati a pensare che garantire migliori prestazioni ad un servizio o ad una tipologia di clienti avrebbe necessariamente significato dare prestazioni meno favorevoli ad altre categorie di servizi o di utenti. Ma questo assioma, per altro vero solo in parte, si basava sul presupposto di una certa uniformità e omogeneità dei servizi erogati (il cui buon funzionamento dipendeva dai medesimi parametri attraverso cui si misura la performance di una rete). Con il 5G non è più così. Perché con il 5G quello che “non darai” ad uno specifico servizio sarà semplicemente un qualcosa di cui quello specifico servizio “non avrà bisogno”. Al contrario in un ottica 5G, assicurare anche prestazioni di cui uno specifico servizio non necessita potrebbe rivelarsi penalizzante e controproducente per il servizio medesimo sia perché potrebbe farne lievitare il costo sia per eventuali effetti collaterali indesiderati (maggiore consumo energetico). Una cosa è certa il 5G non potrà e non dovrà essere una “dumb pipe”. Al contrario il 5G è e dovrà essere un insieme di smart pipes ovvero una rete in grado di adattarsi alle esigenze dei servizi erogati. Non avrebbe quindi senso “omologarne” eccessivamente le prestazioni, per non snaturarne l’aspetto caratterizzante né per limitarne le potenzialità.

A queste considerazioni va anche aggiunto il fatto che l’omologazione porta necessariamente ad una “commoditizzazione” del bene/servizio e questo necessariamente non può limitare le potenzialità di innovazione che ci si aspetta dal 5G. Al di là dei futuri utilizzi e dei modelli di business che potranno emergere è chiaro che grande parte dell’attenzione che suscita il 5G è riconducibile all’alto livello degli interessi in gioco. Ogni cambio tecnologico introduce una discontinuità del processo competitivo dando origine per certi versi ad un vero e proprio “rimescolamento delle carte”. È un po’ come con la “safety car” in Formula 1: si riparte da capo e se le posizioni sono mantenute le distanze comunque si accorciano.

E in questo caso non mi riferisco necessariamente alla sfida tra operatori mobili, le cui posizioni competitive dipendono da una serie di elementi accumulatisi nel corso degli anni (base clienti, politiche commerciali, reputazione, valore del marchio), ma piuttosto alla sfida tra aree geografiche e tra produttori di apparati e fornitori di tecnologie: i costruttori cinesi ad esempio ad oggi penalizzati dal dovere pagare le “royalties” alle imprese estere detentrici della maggior parte dei brevetti 3G e 4G potrebbero vedere nel 5G un’opportunità per riscattarsi e per affermare tecnologie di cui potrebbero essere loro a detenere la proprietà intellettuale. Inoltre il 5G dovrà necessariamente poter contare su una rete molto più densa, questo significa molte più antenne, che in un’ottica di contenimento complessivo dei costi delle nuove reti potrebbe volere spingere gli operatori a fare un maggior ricorso alla condivisione di siti.

A oggi il 5G è solo un insieme di prerequisiti di massima (velocità nell’ordine dei 10 giga, tempo di risposta inferiore al millisecondo etc.), per trasformarlo in un volano di innovazione e crescita dovremo immaginare quali potranno esserne i futuri utilizzi. I parametri tecnici dei diversi “spicchi di rete” o “porzioni di rete” di cui il 5G sarà composto dovranno essere fissati ed evolvere in corso d’opera a seconda delle esigenze dei servizi che si affermeranno sul mercato. Se sarà così, il 5G non diventerà solo la generazione che segue la quarta e precede la sesta ma sarà l’”ultima grande G”, una G cioè sufficientemente flessibile da inglobare tutte le successive. L’affermarsi delle cosiddette SDN (soft-defined-network) potrebbe cioè rivelarsi talmente efficace che l’evoluzione verso una sesta ipotetica generazione (di cui probabilmente inizieremo a parlare non appena avremo ultimato gli standard per il 5G) potrebbe avvenire con un “semplice” aggiornamento di software. Questo potrebbe non essere particolarmente gradito alle imprese produttrici di hardware, ma questa è tutta un’altra storia…

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