Oltre 600 operatrici e operatori della cooperazione sociale, culturale ed educativa stanno aggiornando le proprie competenze digitali grazie a Digiwise, iniziativa selezionata e sostenuta dal Fondo per la Repubblica Digitale – Impresa sociale in collaborazione con Fondazione Pico. L’obiettivo è concreto: rafforzare le reti territoriali e rendere le cooperative — incluse quelle di comunità, spesso attive in aree ai margini — protagoniste di processi decisionali più trasparenti ed efficaci, in dialogo continuo con la Pubblica Amministrazione. Non si tratta solo di “nuovi strumenti”, ma di metodo e cultura dell’innovazione: co-design, gestione dei processi partecipativi, valutazione dell’impatto. Ne parliamo con Pietro Ingrosso, presidente di Fondazione Pico, il digital innovation hub di Legacoop.
Digiwise sta permettendo di formare oltre 600 operatori nel settore sociale, culturale ed educativo. Qual è l’impatto che vi aspettate a lungo termine su queste categorie professionali, soprattutto in relazione alla collaborazione con la Pubblica Amministrazione?
Coinvolgere oltre seicento persone attive nella cooperazione sociale, educativa e culturale significa consolidare reti territoriali tra cooperative e comunità. In molti casi questo vuol dire portare sviluppo anche in aree altrimenti ai margini — penso in particolare alle cooperative di comunità — nei territori geograficamente più lontani dai centri. Digiwise serve esattamente a questo: diffondere competenze, metodo e una cultura dell’innovazione tra chi opera ogni giorno nei territori, per trasformare bisogni in progetti e politiche realmente efficaci. Per farlo, con Digiwise lavoriamo su tre percorsi distinti ma complementari.
Quali sono?
Il primo è quello relativo alla E-democracy, per rafforzare la capacità delle cooperative, in particolare quelle sociali, di essere attori di cambiamento e trasformare i bisogni locali in politiche e servizi di welfare, attraverso una collaborazione più stretta ed efficace con la PA. Cittadinanza e inclusione digitale mira invece a trasformare operatrici e operatori in facilitatori digitali, capaci di accompagnare le persone più a rischio di esclusione — soprattutto anziani, persone con disabilità e cittadini in condizione di fragilità — verso un uso consapevole e autonomo delle tecnologie e dei servizi online, inclusi quelli pubblici. Infine COO.DE (Cooperative Digital Education), per promuove l’uso consapevole, critico e responsabile dei media e delle tecnologie digitali, favorire lo sviluppo del pensiero critico, la capacità di riconoscere fake news e stereotipi e la partecipazione attiva alla vita sociale e democratica. Tre percorsi diversi ma con un obiettivo comune: contribuire a una società sempre più democratica, partecipata e inclusiva anche nello spazio digitale.
Rispetto al perccorso E-democracy, come pensate che l’adozione di strumenti digitali e la creazione di spazi partecipativi possano migliorare il dialogo tra le cooperative sociali e la Pubblica Amministrazione, in particolare riguardo la co-programmazione e co-progettazione?
Gli strumenti digitali hanno aperto nuove possibilità anche nella progettazione sociale: consentono di creare spazi di consultazione e “co-design” dove cooperative, amministrazioni e cittadini possono lavorare sugli stessi dati e obiettivi, seguendo regole trasparenti. Il percorso E-democracy nasce proprio dall’esigenza di rafforzare le competenze della cooperazione sociale, che per sua natura sa ascoltare i bisogni delle comunità e collaborare con le amministrazioni locali: intendiamo favorire il passaggio da un dialogo talvolta episodico a un cantiere permanente, in cui si co-programma e si co-progetta con continuità. Il valore è duplice: le cooperative acquisiscono competenze e diventano facilitatori di processi inclusivi, mentre la PA si trova accanto partner in grado di fornire dati e proporre soluzioni concrete, utili a prendere decisioni migliori, più rapide e condivise dalle comunità.
Il progetto prevede l’utilizzo di tecnologie digitali per gestire i processi partecipativi. Quali sono le principali sfide che le cooperative sociali affrontano nell’adottare questi strumenti, e come Digiwise intende supportarle in questo percorso?
La prima sfida è culturale: superare le diffidenze iniziali che accompagnano ogni cambiamento. Lo affrontiamo con una formazione mirata, costruita sui bisogni delle cooperative sociali, con formatori esperti e con un lavoro costante di disseminazione culturale che la Fondazione Pico porta avanti da anni: possiamo già raccontare decine di esperienze di cooperative che, grazie all’innovazione, hanno trasformato prima di tutto sé stesse, e di conseguenza i propri servizi. La seconda sfida è evitare l’equivoco che “innovare” significhi solo adottare nuovi strumenti. Per questo, prima delle piattaforme, introduciamo metodi e approcci trasversali – co-design, gestione dei processi partecipativi, valutazione dell’impatto – così che sia la tecnologia ad adattarsi a procedure chiare, e non il contrario. Il nostro obiettivo non è fornire un software, ma rendere le persone capaci di governare i processi partecipativi in modo continuo, producendo risultati concreti e misurabili, da portare anche sui tavoli della Pubblica Amministrazione.
Nel contesto del Decreto Legislativo 117/2017, l’iniziativa mira a formare operatori capaci di attivare processi di co-progettazione. Come valutate il livello di coinvolgimento delle PA in questi processi, e quale ruolo devono avere le cooperative sociali nel futuro di questa collaborazione?
In Italia, soprattutto in alcune regioni, esiste un tessuto sociale in cui le cooperative hanno storicamente lavorato con la PA per rispondere a bisogni emergenti. Basti pensare alla cooperazione sociale e ai molti servizi coprogettati insieme alle istituzioni. Le cooperative hanno quindi un ruolo cruciale: conoscono i bisogni delle persone e sanno tradurli in progetti inclusivi. Digiwise è un’ulteriore opportunità per rendere queste pratiche più strutturate e incisive. Guardando avanti, vedo reti territoriali aperte e partecipate a tutti i livelli, capaci di accelerare i cicli decisionali e costruire politiche di welfare locale in modo orizzontale, non calate dall’alto e realmente utili.
Digiwise è sostenuto dal Fondo per la Repubblica Digitale. Come questa partnership con istituzioni e fondi pubblici ha contribuito alla realizzazione del progetto e in che modo può evolversi per sostenere ulteriori iniziative simili nel futuro?
Digiwise è uno dei progetti selezionati e sostenuti dal Fondo per la Repubblica Digitale – Impresa sociale, nell’ambito del bando “Digitale sociale”. Le risorse messe a disposizione ci hanno permesso di strutturare percorsi formativi di qualità, coinvolgere gratuitamente centinaia di operatori e rafforzare le alleanze tra cooperative, territori e istituzioni. La nostra collaborazione con il Fondo, peraltro, è antecedente a questo progetto e risale alla nascita della Fondazione Pico. Crediamo che i risultati di Digiwise potranno evolvere lungo due direttrici: continuità e replicabilità.
In che senso?
Continuità significa non fermarsi alla scadenza del progetto, ma proseguire anche successivamente nell’accompagnare le cooperative nel loro percorso di innovazione. Replicabilità significa rendere disponibili metodologie, strumenti e linee guida affinché anche altri soggetti possano adottare i modelli sviluppati, non solo le 600 persone direttamente beneficiarie. Il nostro impegno è alimentare un ecosistema dell’innovazione cooperativa fatto di relazioni, progetti e risorse – economiche e umane – per far crescere una democrazia digitale partecipativa e inclusiva. In una parola: cooperativa.