Potti: “Ammortamento per Industria 4.0? Si faccia in tempi rapidi”

“Bene gli incentivi alle imprese che investono in digital transformation, a patto che diventino presto realtà”. Il presidente Cnct di Confindustria Servizi Innovativi promuove con riserva la strategia del governo. E avverte: “Evitiamo colonialismi, lavoriamo a una via italiana che valorizzi le Pmi”

Pubblicato il 26 Ago 2016

Federica Meta

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“Bene gli incentivi e gli sgravi fiscali alle imprese, a patto che si traducano in realtà in tempi brevi”. Gianni Potti, presidente CNCT Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, promuove con qualche riserva gli sforzi che il governo sta facendo per ottenere più flessibilità dalla Ue: 10 miliardi di cui oltre 1 miliardo da destinare all’ampliamento del super ammortamento al digitale.

Come giudica la strategia di Renzi?

Sono favorevole al super-ammortamento per il digitale. Mi preoccupa di più la tempistica e il “come” verranno scritti i decreti della legge di stabilità che dovrebbe essere il contenitore di queste risorse.

Se i finanziamenti finiscono in legge di Stabilità, come ha fatto intendere il governo, i tempi sarebbero stretti…

Non basta inserire nella legge di stabilità i finanziamenti, c’è anche un tema legato all’applicazione dei decreti attuativi. Non dimentichiamo che, da oltre un anno, stiamo aspettando i voucher per le imprese da destinare a progetti digitali nelle Regioni a obiettivo convergenza. Per questo mi preoccupa la tempistica. Stabilito che abbiamo già 3-5 anni di ritardo rispetto alle nazioni europee più evolute sul tema della digital transformation nell’industria, ritardo che si aggrava anche alla luce del nuovo “industrial compact 2“, messo a punto dalla Commissione Ue. Rischiamo di perdere ulteriori opportunità: piani di investimento per più di 50 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati a sostegno della digitalizzazione dell’industria. Non ce lo possiamo permettere. Bisogna fare presto.

Cosa chiede l’industria al governo?

Per prima cosa connettività. Fibra nei distretti industriali e wi-fi libero ovunque, come accade nel resto d’Europa. Perché l’Italia digitale passa necessariamente dalla connettività: il piano nazionale per la banda ultralarga va nella giusta direzione. Meno coraggio, invece, rilevo sul fronte wi-fi che in Italia resta ancora “vittima” della legge Pisanu. Ma non è certo rendendo più difficile l’accesso a Internet in mobilità che si combatte il terrorismo.

C’è anche un problema di politica industriale. In Italia scarseggia da parecchi anni.

Industria 4.0 è una grande occasione per rilanciare politiche di sistema che puntino al mercato e difendano le Pmi – architrave del tessuto produttivo italiano – in un quadro che, altrimenti, rischia di fagocitare tutto: prima le imprese e poi il Pil.

Ha fatto cenno alle Pmi. Si può pensare a uno smart manufacturing all’italiana?

Si deve farlo e si deve renderlo praticabile. Non mi fraintenda: l’attenzione per i modelli europei – Germania in prima linea – è vitale, così come le collaborazioni con gli altri Paesi. Senza però scadere nel “colonialismo”.

In che senso?

Quello che va assolutamente evitato è la replica di sistemi persi in prestito da Paesi con tessuti produttivi diversi dal nostro e soprattutto l’utilizzo di soluzioni pre-confenzionate dalle big company che non tengono conto della specificità del made in Italy. Serve una via italiana all’Industria 4.0.

Come la immagina questa via italiana?

Una via fatta non solo di Ict, ma del cyber physical, di grande flessibilità e soprattutto con l’uomo al centro. Una via che integri il tradizionale Ict con il cloud, loT, i social e la robotica ad sempio. E che non perda mai di vista la formazione e l’aggiornamento.

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