INNOVAZIONE

Robotica, si apre la caccia all’algoritmo “finale”

Alle “macchine” non basta più obbedire per eseguire dei comandi: per collaborare al meglio con gli esseri umani devono imparare a capire la ragione per cui devono eseguire un’azione. Uno studio pubblicato sulla rivista Nature Machine Intelligence spiega il nuovo trend della ricerca. Per l’Italia in campo la Scuola Superiore Sant’Anna e l’Università di Pisa

Pubblicato il 09 Ago 2019

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Ai robot non basta più obbedire per eseguire dei comandi: per collaborare al meglio con gli esseri umani devono imparare a capire la ragione per cui devono eseguire un’azione. È la nuova filosofia destinata a far convivere macchine e uomini nei luoghi di lavoro, nei locali pubblici e in futuro anche nelle case. A promuoverla, sulla rivista Nature Machine Intelligence, è la ricerca nata dalla collaborazione tra università britannica di Birmingham, Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna, Università di Pisa, la Queensland University of Technology di Brisbane e l’agenzia spaziale tedesca Dlr.

Quello che sta emergendo è che i robot hanno bisogno di conoscere la ragione per cui compiono un lavoro e se le condizioni in cui operano siano in sicurezza per loro stessi e per gli esseri umani con cui interagiscono. È in vista un cambiamento profondo nel mondo della robotica, come rileva il primo autore della ricerca, Valerio Ortenzi, dell’Università di Birmingham: un nuovo passo lungo la strada che punta a rendere più semplice la convivenza fra uomo e automi, inaugurata nel febbraio 2019 dallo stesso gruppo di ricerca.

“E’ necessaria una maggiore attenzione all’obiettivo dell’azione”, puntualizza Marco Controzzi, dell’Istituto di Biorobotica e responsabile dell’Human-Robot Interaction Lab della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Per esempio, “se il robot deve passare un cacciavite a una persona deve capire che la presa giusta è quella che lascia il manico libero in modo che l’uomo possa afferrarlo e utilizzarlo facilmente”. Adesso, aggiunge Controzzi, non resta che chiamare a raccolta la comunità scientifica per condividere questa nuova prospettiva e trovare insieme quello che i ricercatori chiamano “l’algoritmo finale”.

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