Santoni: “Subito investimenti. Per le aziende Big data è business”

Il presidente di Assinform: “Con interventi sul digitale di cui abbiamo bisogno e che sono alla nostra portata, il Pil nei prossimi quattro anni potrà crescere del 4,2%”

Pubblicato il 19 Feb 2016

Flavia Gamberale

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Il nuovo business che si sta sviluppando attorno alla gestione dei Big data sarà una mano santa per le imprese Ict nostrane. Un mercato su cui puntare per rifarsi delle perdite registrate negli ultimi anni, anche perché la platea dei soggetti a cui vendere prodotti e servizi sarà estremamente ampia. Un bacino che comprenderà, infatti, non solo imprese private, ma anche pubbliche amministrazioni. Ne è convinto Agostino Santoni, Presidente di Assinform, l’Associazione nazionale delle principali aziende informatiche italiane.

“Sicuramente gli investimenti che si realizzeranno sia da parte delle imprese che da parte delle PA faranno bene al nostro settore, che da anni accusa un calo dei fatturati in numerosi comparti dell’ICT. E questa inversione di tendenza già si comincia a intravedere osservando gli ultimi dati del Rapporto Assinform che evidenziano come il mercato, dopo una serie di risultati negativi, per la prima volta nel 2015 registra un’inversione di segno con un valore di crescita del +1,2% su base annua. Anche le previsioni del 2016 confermano questo trend e, secondo le nostre anticipazioni, l’anno in corso potrebbe registrare un +1,8%”, commenta Santoni.

“È una buona notizia”, aggiunge, “l’aumento della domanda non è sufficiente per recuperare il ritardo accumulato e per realizzare tutti gli interventi necessari a cogliere le opportunità dell’innovazione. A Davos è stato presentato un dato illuminante a tal proposito: nei prossimi 4 anni il PIL italiano potrà crescere del 4,2%, se si riusciranno a realizzare quelle politiche e quegli interventi nel digitale di cui abbiamo bisogno e che sono alla nostra portata. Per questo riponiamo molte aspettative nei Piani annunciati dal Governo nella Scuola, nella Sanità, nella Giustizia, nella Pubblica Amministrazione e nel Programma triennale dell’AGID”.

Pensate che per il Governo la spesa digitale per le PA sia veramente una priorità o temete che questi siano solo proclami?

Vorrei ricordare che nella legge di Stabilità si parla dell’ottimizzazione e la razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi in Information Technology e si dice che ”i risparmi conseguiti alla fine del triennio 2016-2018 sulla spesa per la gestione corrente, sono utilizzati dalle medesime amministrazioni prioritariamente per investimenti in materia di innovazione tecnologica”.

La Programmazione degli investimenti, che si dovrà realizzare attraverso il Piano Triennale dell’AgID, è a nostro avviso una conferma della volontà di trasformare la spesa non organizzata e spesso inefficiente del passato in una spesa “intelligente”, che dia stimolo ai Piani di digitalizzazione del Paese.

Tali progetti dovranno dare un impulso all’economia digitale e stimolare a loro volta ulteriori investimenti nel settore privato ed in quello pubblico, con ricadute positive anche nel settore delle Telecomunicazioni, che così avrà nuove motivazioni per accelerare la realizzazione delle infrastrutture di Rete.

Quanto sono strategici i servizi di gestione dei Biga Data per le pubbliche amministrazioni?

Anche le Pubbliche Amministrazioni dovranno calarsi in questa nuova dimensione utilizzando e producendo dati in relazione ai servizi e alle applicazioni con cui si interfacciano con cittadini ed imprese, elaborando le informazioni che provengono dalle infrastrutture energetiche, di trasporto, ambientali, dalle realtà economiche, dai contesti sociali e lavorativi.

Con l’avvio dei progetti annunciati di “Italian login”, SPID, ANPR (Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente), Fatturazione elettronica, Pagamenti elettronici, anche la PA dovrà operare appoggiandosi a Data Center e infrastrutture Cloud per gestire la grande quantità di dati che questi servizi renderanno disponibili e attraverso i quali nuove attività potranno essere sviluppate.

Pensate che le piccole media imprese siano pronte alla sfida dei Big data o ci sono ancora resistenze, dovute ad arretratezza culturale?

Guardando alle imprese, tutte avranno la necessità di confrontarsi con il fenomeno sia sul lato dell’offerta che su quello della domanda. I settori produttivi sui quali si regge la nostra economia, quelli del made in Italy per intenderci, dovranno capire l’importanza del controllo dei dati adeguando i propri sistemi informativi.

La buona notizia è che i processi di digitalizzazione, se pure in ritardo rispetto agli altri Paesi più sviluppati tecnologicamente, stanno avvenendo anche in Italia e anche le nostre aziende sembra che ne abbiano colto la priorità strategica. L’importante è che non si creino nuovi divide tra grandi imprese e PMI, o meglio tra imprese innovatrici e conservatrici, tra Nord e Sud.

E qui entra in gioco un altro fattore strategico: la trasformazione in atto dipende in gran parte dalle competenze digitali e dalla cultura digitale che il Paese riesce a creare e a mettere a disposizione d’ imprese e PA. È chiaro, quindi, che su questo fronte dovremo indirizzare politiche ed investimenti.

Diverse grandi aziende hanno cominciato a collaborare con le università per formare professionisti dei Big data, di cui c’è sempre maggiore richiesta. L’offerta sarà sufficiente a colmare la domanda?

Sicuramente bisogna accelerare il processo di formazione di professionisti con queste competenze, non solo per quanto riguarda la gestione dei Big data ma anche per quanto attiene alla Cybersecurity.

La differenza di oggi rispetto al passato è che gli skill digitali non possono essere appannaggio solo di chi si occupa dell’ Ict, ma devono essere trasversali e interessare un po’ tutte le figure professionali che operano all’interno di un’azienda.

Da questo punto di vista il piano nazionale per la scuola digitale ha tutte le caratteristiche per raggiungere tale obiettivo. Le competenze Ict devono essere costruite il prima possibile, a partire dalle superiori, anche attraverso l’alternanza scuola lavoro. È necessario poi che le università proseguano il percorso integrando il tema della digitalizzazione e rendendolo centrale in tutta la loro offerta formativa.

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