IL REPORT I-COM

In Italia è boom di start-up energetiche, ma i capitali languono

Le imprese innovative del settore sono 1.474, il 70% in più in un anno, ma solo il 4,2% ha un capitale superiore a 250mila euro. Da Empoli: “Dimensione d’impresa troppo contenuta, impatto assai ridotto in termini occupazionali”

Pubblicato il 25 Giu 2019

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Le start-up attive nel settore dell’energia sono 1.474 con un tasso di crescita medio annuo del 70%. E l’impatto economico vale fra i 150 e gli oltre 534 milioni, quasi il 15% dell’intero ecosistema startup italiano stimato, nella forchetta più alta a 3,5 miliardi di euro per un totale di 10.281 startup attive, il 73% in più in un solo anno (a fine 2018 erano 9.344). Questa la fotografia scattata dall’Istituto per la Competitività (I-Com) nello studio “Il rebus della transizione. L’innovazione energetica, chiave dello sviluppo”.

Il report a cura di Antonio Sileo e sviluppato con una lunga serie di partner (Assogasmetano, Acquirente Unico, Axpo, Cnh Industrial, e2i energie speciali, Elettricità Futura, Enel, E-On, EP Produzione, Gruppo Api e Unione Petrolifera) vede il Nord Italia in pole position con il 52% delle start-up energetiche attive, seguito dal Sud con il 26% e il Centro al 21%.

Lombardia “regina” delle energetiche

A guidare la classifica delle regione c’è la Lombardia con 314 start-up energetiche, il 21% di quelle esistenti nel complesso nel nostro Paese. Al secondo posto il Lazio con 143 piccole imprese specializzate nel campo dell’energia, al terzo la Campania con 142. Numeri che dipendono in larga misura – evidenzia il report – dal peso preponderante di Milano, Roma e Napoli. La situazione però cambia se si considerano le province con il maggior numero di start-up energetiche pro-capite: in pole Rovigo seguita da Salerno, Trieste e Lecce. Quinta la provincia di Napoli, settima quella di Milano e addirittura non pervenuta, tra le migliori dieci d’Italia, quella di Roma.

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Il 90% delle startup innovative, alias 1.329 realtà, è specializzato nella ricerca scientifica e nello sviluppo mentre le altre si occupano per lo più della fabbricazione di apparecchiature elettriche ed elettroniche, di autoveicoli, rimorchi e semirimorchi.

Molte le realtà innovative ma scarseggiano i capitali

Solo il 4,2% delle start-up energetiche ha un capitale superiore a 250.000 euro e anche quelle con un valore della produzione considerevole – superiore a 500.000 euro – sono poche, pari al 9,5% del totale: questo il lato nero scuro della medaglia secondo quanto emerge dal report. “La maggioranza delle start-up energetiche ha una dimensione d’impresa molto contenuta, con un impatto ancora assai ridotto in termini occupazionali – ha inoltre evidenziato il presidente di I-Com Stefano da Empoli puntualizzando che  “solo l’1,1% supera l’asticella dei 20 lavoratori impiegati. C’è un evidente problema in una fase iniziale di selezione e successivamente di scaling-up. Sono pochi evidentemente i progetti che hanno le potenzialità per risultare davvero vincenti e, laddove questo avvenga, le condizioni di contesto in Italia, a partire dal funding, rallentano il processo di crescita”.

Il punto sui brevetti

Lo studio fa inoltre il punto della situazione sui brevetti – uno dei principali indicatori della capacità di innovare degli Stati e dei loro sistemi produttivi – a proposito dei quali l’Italia risulta ancora molto indietro a livello internazionale. Nel 2017 le domande di brevetto in campo energetico provenienti dal nostro Paese sono state appena 881, lo 0,8% del totale a livello globale. In Europa la Spagna ottiene risultati analoghi ai nostri mentre fanno decisamente meglio la Francia (5% del totale) e soprattutto la Germania (8,1% del totale).

In assoluto il Giappone resta primo al mondo con 30.683 brevetti concessi in campo energetico anche se la distanza con la Cina si è ridotta ulteriormente. “Il Paese del Dragone continua a crescere a ritmi che non hanno eguali rispetto al complesso dei competitor internazionali, e in misura maggiore rispetto all’attività brevettuale nel complesso delle aree tecnologiche – ha sottolineato Antonio Sileo – Se le tendenze in atto saranno confermate si assisterà all’avvicendamento in prima posizione tra Cina e Giappone già dal 2019”. Nel 2017 sono state depositate poco meno di 25.862 domande di brevetto cinesi nel settore energetico, con un incremento del 17% su base annua. Tuttavia “si deve ricordare come la Cina conti per la quasi totalità brevetti domestici, sovente caratterizzati da modesto valore. Senza contare che si contraddistingue tra gli altri player per un regime di protezione dei diritti di proprietà intellettuali in cui la brevettazione è soggetta a incentivi di natura monetaria”, ha sottolineato Sileo. In ogni caso, la forbice cinese si amplia anche rispetto agli Stati Uniti e alla Corea del Sud, che attualmente occupano la terza e la quarta piazza. Negli Usa sono state rilevate 14.030 domande di brevetto nel settore energetico, con un incremento del 3,8%. Decisamente migliore la performance della Corea del Sud che passa dalle 10.139 alle 12.634 unità tra il 2016 e il 2017 (+13,9%).

Tornando all’Italia, dal rapporto emerge come il 74% dei brevetti energetici provenga dalle imprese mentre il 23% da persone fisiche e la quota rimanente da istituti universitari, fondazioni ed enti di ricerca pubblici. Quanto alla distribuzione geografica, la Lombardia rimane leader con 67 brevetti concessi nel 2017, pari al 28,3% del totale. In seconda posizione si trova il Lazio con 43 brevetti energetici, seguito da Piemonte (34) e Veneto (32). “Dati che evidenziano come l’attività brevettuale sia appannaggio quasi esclusivo delle regioni del Nord”, ha chiosato Sileo.

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