Spid, senza business model il sistema rischia di incagliarsi

Moriondo: “Momento cruciale. Riconoscere le identità già attive”. Perego: “Si deve capire quale sarà per i privati il modello di ricavo a fronte dei costi per fornire le identità”

Pubblicato il 22 Mag 2015

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Il servizio pubblico di identità digitale ha mosso i suoi primi passi con la fase di sperimentazione, ma prima dell’entrata a regime rimangono da superare alcuni ostacoli. “Lo Spid – recita il documento ‘Crescita digitale’ del Governo – nasce per garantire a tutti i cittadini e le imprese un accesso sicuro e protetto ai servizi digitali della PA e dei soggetti privati, garantendo un elevato grado di usabilità attraverso l’adozione di strumenti moderni e flessibili”, come ad esempio gli smartphone. Ma discriminanti per il successo sono tre “temi caldi”. Uno è l’interoperabilità dello Spid con le identità digitali – solo l’Inps ne ha già fornite oltre sei milioni – finora assegnate da soggetti pubblici. Il secondo è la definizione del modello di business per le aziende, che prima di aderire vorranno capire come rientrare dei costi per credenziali e servizi. E infine le garanzie di sicurezza informatica e di rispetto della privacy degli utenti.

“Il momento è cruciale – afferma Roberto Moriondo, responsabile dei rapporti delle Regioni con Agid – L’orientamento del Governo è di lasciare che la funzione di identity provider sia separata da quella di service provider. In questa fase è importante che ogni aspetto processo sia articolato in modo da consentendo al cittadino di interagire non soltanto con la PA. Sarebbe un peccato se non venissero recuperate le identità digitali già riconosciute, se risponderanno alle regole vincolanti che il garante sta mettendo a punto – conclude – Sarebbe uno spreco di risorse oltre che un danno d’immagine per la PA”.

L’idea di fornire ai cittadini e alle imprese un unico identificativo per accedere online ai servizi è “un’idea vincente, un’opportunità fantastica lato utente”, afferma Alessandro Perego, direttore degli osservatori sulla digital innovation della School of management del Politecnico di Milano. “L’aspetto più problematico – sottolinea – è l’individuazione del modello di business. Si tratta di capire chi sosterrà i costi del progetto. Se gli identity provider saranno prevalentemente o totalmente privati, questi dovranno affrontare costi per investimenti in infrastrutture e processi: si tratta di capire quale sarà il loro modello di ricavo”. Due, secondo Perego, le alternative: “O a sostenere i costi è direttamente la PA, o si immagina che gli identity provider debbano guadagnare perché offrono servizi. Stiamo lavorando all’identificazione del modello di business in ottica di sistema, e non di singolo operatore. Per capire se c’è un mercato, e se si possono trovare fonti di revenue diverse dal finanziamento pubblico del progetto”.

La questione del business model riguarda da vicino le aziende, come conferma Simone Braccagni, Ad di Aruba Pec: “Il modello di business ancora non è chiaro – sottolinea – Non è stata definita la modalità di tariffazione dei service provider, a esclusione delle PA, per le quali il servizio di autenticazione garantito dagli Identity provider dovrà essere gratuito, e quindi è difficile valutare la sostenibilità. Inoltre gli Identity provider, probabilmente, dovranno offrire gratuitamente le credenziali Spid per il primo anno dall’avvio del sistema: questo di fatto contribuisce a estendere il periodo necessario per rientrare dagli ingenti investimenti”.

Allo Spid guardano con interesse anche le telco, che avrebbero, anche come fornitori d’identità digitale, carte interessanti da giocare, a partire dalla “digital mobile identity”. “La sfida – afferma Marzia Minozzi, responsabile relazioni istituzionali di Asstel e coordinatrice del tavolo Spid per Confindustria digitale – riteniamo sia un progetto fondamentale nello sviluppo digitale del Paese e come tale sarà l’innesco di un intero ecosistema. Gli operatori sono interessati, ma la criticità e quella della sostenibilità economica, che dipende dal modello che si sceglierà. Le norme di avvio non vanno nella direzione di rendere attrattivo il ruolo di identity provider per le telco, ma i regolamenti sono ancora dinamici: c’è spazio perché gli operatori presentino le proprie proposte, e perché l’Agid le prenda in considerazione”.

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