È sempre più vicino l’adeguamento delle tariffe sull’equo compenso. Il ministro del Beni culturali, Dario Franceschini, ha affermato ieri in audizione presso la Commissione Cultura della Camera che ci sarà ancora un tentativo di mediazione tra le parti (Siae e Confindustria Digitale, che continuano a mantenere posizioni distanti), ma se non si accorderanno al più presto, il governo prenderà la decisione di aggiornare le tariffe, ferme al 2012. Decisione che potrebbe avvenire tra qualche settimana.
“Penso che la norma che ha istituito l’equo compenso sia giusta. Certo, si può anche pensare di modificarla, ma il principio lo sottoscrivo” ha detto Franceschini facendo il punto sul nuovo decreto, in corso di approvazione ministeriale, finalizzato alla revisione delle tariffe in vigore, fissate l’ultima volta dal Dm del 30 dicembre 2009.
La querelle, che si trascina ormai da tempo, riguarda le problematiche connesse all’equo compenso per la riproduzione privata ad uso personale delle opere dell’ingegno. Si tratta in pratica di una sorta di “royalty” applicata sui dispositivi (smartphone, tablet, pc, chiavette) che viene pagata dai produttori ma va inevitabilmente a ricadere sugli utenti finali. L’importo viene raccolto dalla Siae che lo redistribuisce agli autori. È infatti un modo, previsto dalla legge, di compensare i detentori del diritto d’autore della possibilità che gli utenti usino i propri device per fare una “copia privata” di film o musica acquistati.
Già il 23 aprile, in occasione dell’audizione dei player di settore presso il ministero dei Beni culturali, Franceschini aveva annunciato che avrebbe adeguato le tariffe sull’equo compenso. “Ho auspicato fino alla fine che i player di settore trovassero un accordo – aveva detto il ministro – ma ho preso atto della distanza ancora esistente tra le differenti posizioni e dunque dovrò comunque emanare, anche in assenza di un’intesa, il relativo decreto ministeriale, così come previsto dalla legge”.
Il problema è l’aggiornamento degli importi del diritto di copia, fermi al 2012. Attualmente i produttori devono pagare 0,90 euro. Dopo un lavoro svolto da un comitato consultivo sul diritto di copia negli altri Paesi, il governo intenderebbe portare la cifra a 5,20 euro.
Ma è proprio sul concetto di copia privata che di recente è scoppiato il dibattito. “Franceschini è intenzionato ad andare avanti spinto dalla Siae – ha commentato Marco Pierani di Altroconsumo, presente all’audizione di ieri – nonostante uno studio commissionato dallo stesso ministero riveli che il concetto di copia privata è obsoleto perché solo una minoranza di italiani ne fa uso”.
Lo studio è quello realizzato da Quorum e commissionato dal precedessore di Franceschini, Massimo Bray, che ha appunto rilevato una scarsa diffusione in Italia della copia privata. Ma sono nate polemiche sulle modalità di realizzazione del sondaggio. Secondo Enzo Mazza, presidente Fimi, si tratta di un report parziale perché “fondato solo un campione di italiani che usano Internet come fonte acquisizione contenuti, lasciando fuori tutti gli altri. A cominciare da chi – e sono in tanti – compra cd e dvd originali e poi sceglie di copiare il contenuto su supporti diversi: pc, smartphone o tablet che siano”.
Anche la Siae ha espresso dubbi sul sondaggio effettuato dalla società Quorum. “Rileviamo – si legge in una nota – che l’indagine tende ad ottenere un panorama complessivo sugli usi da parte dei consumatori dei nuovi device solo con riferimento alla fruizione in senso ampio e non è direzionato sull’attività di copia privata (il rapporto finale è composto da 79 slide e ne dedica solo 13 all’indagine sulla realizzazione di copie private). Dunque il sondaggio – ribadisce la Società – non fornisce quel focus necessario ad una valutazione quantitativa e qualitativa della riproduzione per uso privato”. In particolare per la Siae l’indagine non sarebbe “stata svolta secondo metodo scientifico tanto è vero che le domande sulla copia privata sono poste male e fuorvianti, poiché tendono a considerare la riproduzione su soli “supporti fisici” (cd, dvd, chiavette), escludendo pc, smartphone e tablet (prodotti che la prima parte dell’indagine indica tuttavia come maggiormente utilizzati per la fruizione di contenuti creativi)”.
Ma Franceschini è intenzionato ad andare avanti e a decidere al più presto.