SCENARI

Tecnologie 4.0 & green, più del 60% delle medie aziende italiane si prepara a investire

Secondo i risultati di un’indagine realizzata da Unioncamere, Mediobanca e Centro Studi Tagliacarne nel prossimo triennio aumenterà la spesa. La spinta dal Pnrr anche se più del 40% delle imprese non punterà sui fondi pubblici

Pubblicato il 27 Giu 2022

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Le medie imprese italiane cresceranno del 6,3% nel 2022, dopo il rimbalzo del fatturato del 19% nel 2021. Più del 60% prevede di investire entro il prossimo triennio nelle tecnologie 4.0 e nel green; il 52% che l’ha già fatto conta di superare i livelli produttivi pre-Covid entro quest’anno; il 59% si è già attivato o si appresta a farlo per cogliere le opportunità di crescita derivanti dal Pnrr. È l’identikit delle medie imprese industriali italiane messo a fuoco nel XXI Rapporto a loro dedicato da Unioncamere, Area Studi Mediobanca e Centro Studi Tagliacarne presentato a Roma. Un universo di 3174 imprese che lo studio definisce “leader del cambiamento”, ma che deve affrontare nel prossimo futuro sfide come la staffetta generazionale, il focus sugli obiettivi ambientali e di governance (Esg) e le trasformazioni delle supply chain indotte dalle incertezze e dalle tensioni globali.

Medie imprese e Pnrr, il 59% si è attivato

Il 59% delle medie imprese italiane punta sul Pnrr: il 40% si è già attivato sui progetti a supporto diretto dei sistemi imprenditoriali, mentre il 19% ha in programma di farlo. C’è però un altro 41% che non pensa di avvantaggiarsi delle opportunità previste nel Piano.

Esistono fattori sia interni che esterni che spingono maggiormente ad attivarsi. I primi riguardano il capitale umano: ben il 72% delle medie imprese che investe nella formazione manageriale per innovare i propri modelli di business si è già mosso sui progetti del Pnrr (o ha in programma di farlo), percentuale che scende al 46% per quelle che non investono nelle competenze manageriali. I secondi riguardano la relazionalità con istituzioni e università, soprattutto quando sono coinvolti entrambi gli attori: il 74% delle medie imprese che ha relazioni sia con le istituzioni che con le università si è già attivato sui progetti del Pnrr (o ha in programma di farlo), contro poco più del 60% nei casi in cui i rapporti siano intrattenuti solo con istituzioni o solo con università e il 52% nel caso in cui l’impresa non collabori con nessuno dei due soggetti.

La transizione digitale e green

Il 52% delle medie imprese che ha investito negli ultimi cinque anni nella duplice transizione digitale ed ecologica conta di superare nel 2022 i livelli produttivi pre-Covid. Una quota che scende al 35% nel caso di chi ha investito solo nel digitale e al 31% per le imprese che hanno puntato soltanto sul green, sino ad arrivare al 21% laddove non sia stato effettuato alcun investimento in questa direzione. Un elemento di competitività di cui le medie imprese sembrano consapevoli: più del 60% prevede, infatti, di investire nel triennio 2022-24 nelle tecnologie 4.0 e nel green, mentre appena il 15% stima di puntare soltanto sulla transizione digitale e un altro 13% solo sul green.

Management e formazione giocano un ruolo chiave anche in tema di investimenti nella duplice transizione dove le medie imprese con guida familiare denotano una minore propensione rispetto a quelle con manager esterni (60% vs 66%). Il gap, tuttavia, si annulla quando l’impresa investe nella formazione dei manager di famiglia per innovare i modelli di business.

Capitale umano e innovazione

Avanzamento tecnologico, attenzione all’ambiente, ma anche la sostenibilità sociale premia le medie imprese: il 62% investe nel welfare aziendale, il 61% coinvolge i propri dipendenti nella attività di innovazione (nuovi processi, prodotti e modalità organizzative aziendali, ecc.), il 51% nella qualità delle relazioni umane e il 51% collabora con il settore della cultura per aumentare il benessere del territorio.

Anche solo osservando il comportamento delle imprese che svolgono co-innovazione con i propri dipendenti, si scopre che quelle che favoriscono la loro partecipazione allo sviluppo di progetti innovativi dimostrano una maggiore capacità di recupero produttivo: il 48% conta di superare nel 2022 i livelli pre-Covid, contro il 36% di quelle che non adottano tale iniziativa.

Produzione quasi tutta in Italia

Un aspetto peculiare delle medie imprese riguarda il fatto che ricchezza e occupazione sono prodotte prevalentemente in Italia. L’88,2% non ha una sede produttiva all’estero e solo il 3% realizza in stabilimenti stranieri oltre il 50% dell’output. Il tema del reshoring appare quindi di poca rilevanza per queste aziende che, invece, partecipano attivamente alle catene globali del valore: l’88,8% si avvale di fornitori stranieri, ottenendo in media il 25% delle proprie forniture. Inoltre, la quota di vendite destinata all’estero è pari al 43,2% del fatturato.

Le performance realizzate dalle medie imprese sono tanto più lusinghiere se si considera che sono state raggiunte in un contesto non sempre favorevole, sottolinea il report. In particolare, il tax rate effettivo delle medie imprese è oggi attorno al 21,5% contro il 17,5% delle grandi, ma in passato lo spread è stato anche più ampio, oltre 8 punti nel 2011. Se nell’ultimo decennio le medie imprese avessero avuto la medesima pressione fiscale delle grandi avrebbero ottenuto maggiori risorse per 6,5 miliardi di euro – una cifra che, per esempio, avrebbe permesso un maggiore volume d’investimenti nella misura del 10,6%. D’altra parte, nel confronto con i competitor stranieri, le nostre medie imprese si percepiscono svantaggiate proprio in termini di struttura dei costi (50,5%), di efficienza della Pubblica amministrazione (30,2%) e di qualità della dotazione infrastrutturale del Paese (22%).

Il futuro: accelerare su Esg e competenze manageriali

I molteplici profili positivi delle medie imprese non devono eludere le sfide importanti che restano sul campo. La necessità di essere allineati ai requisiti Esg riporta l’attenzione sulla governance: alcune buone pratiche hanno diffusione ancora limitata: il codice di autodisciplina è adottato dal 35,3%, la presenza di consiglieri indipendenti nel board è limitata al 24,8%. L’esistenza di un Ceo esterno alla famiglia ricorre nel 16,8% dei casi ed è associata a una formazione scolastica più avanzata (laurea o post-laurea nel 71,2% dei casi vs 49,7% per il Ceo familiare) e a un’età più contenuta (55,6 anni vs 59,9). Inoltre, sotto la spinta delle turbolenze dell’ultimo biennio, le medie imprese attribuiscono ampia priorità all’introduzione di nuove competenze manageriali (46,2%) e ritengono necessario imprimere un’accelerazione al passaggio generazionale (33%).

L’incertezza geopolitica mette a rischio la continuità delle forniture e le medie imprese intendono porvi rimedio attraverso un mix di diversificazione del numero dei fornitori (79,7%) e di aumento di quelli di prossimità (29,8%), anche nazionali (27,4%).

“Le medie imprese industriali italiane sono la spina dorsale del capitalismo familiare italiano, come dimostra l’esperienza degli ultimi 25 anni. A ragione possono definirsi la locomotiva del nostro sistema imprenditoriale, rappresentando un fattore di resilienza e ammodernamento continuo del sistema produttivo, grazie ad una elevata capacità ad investire nella Duplice transizione green e digitale, rispetto alla quale il capitale umano rappresenta l’asset intangibile più importante”, ha affermato il Presidente di Unioncamere, Andrea Prete.

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