PRIVACY & DATA PROTECTION

Tutela dei beni morali, social media responsabili

Il tema di chi risponde di ciò che si pubblica è stato sempre trattato sottotono. Tuttavia le regole di funzionamento dei social, che noi tutti sottoscriviamo, bisogna farle rispettare. La rubrica di Nicola D’Angelo

Pubblicato il 16 Nov 2016

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Cosa succede sui social? In verità un po’ di tutto. Cose interessanti e fatti spregevoli. L’ultimo quello che ha riguardato Tiziana Cantone. Alla finestra di questo immenso cortile stanno i capi dei social, quelli che con una parola addolcita chiamiamo amministratori. Fino ad ora si è discusso poco delle loro responsabilità. Più spesso si è parlato di privacy e di uso dei nostri dati. Ma il tema di chi risponde di ciò che si pubblica, nel senso di quello che si scrive o delle foto o dei video che si postano, è stato sempre trattato sottotono.

L’illusione di una libertà senza limiti si è poi scontrata con fatti gravissimi che hanno riguardato la vita di persone in carne ed ossa, non solo figure virtuali. Di questi giorni è la polemica del governo tedesco verso Facebook per alcuni post di incitamento alla violenza e l’intervento dei giudici di quel paese che hanno messo sotto inchiesta i capi del più grande social network. La magistratura italiana si è occupata in casi analoghi con una soluzione di buon senso. All’amministratore dei social non si può richiedere un controllo preventivo sui contenuti, ma certamente una pronta reazione successiva soprattutto se l’uso diffamatorio o comunque violento del social sia stato denunciato. Vale in generale il principio di cui all’art. 27 della Costituzione sulla responsabilità penale personale.

La responsabilità è innanzitutto di chi posta contenuti illeciti. La questione che si pone è in che misura possono essere chiamati a concorre a questa responsabilità anche i gestori del social. Fino ad ora non è stata attribuita all’amministratore, nemmeno qualora il commento venisse espresso in forma anonima o con uno pseudonimo.

Tuttavia le regole di funzionamento dei social, che noi tutti sottoscriviamo, devono farle rispettare (es. moderare e supervisionare le pagine di ciascun profilo). L’amministratore è quindi tenuto a limitare l’accesso a quegli utenti che tengano comportamenti non consentiti dalla legge e dalle condizioni generali di servizio. In sostanza, per ora si tratta di strumenti che si limitano a segnalare come inappropriato qualsiasi commento che contenga i termini inseriti dallo stesso amministratore nella sua black-list ovvero quei contenuti che sono segnalati dagli utenti.

Su questi ultimi l’amministratore potrà svolgere una valutazione autonoma circa l’eventuale blocco. Recentemente però la magistratura ha rilevato che il gestore del network dopo la denuncia deve intervenire, non può perdere tempo o trincerarsi dietro all’insindacabilità del suo operato (clausola che in genere sottoscriviamo tra le condizioni generali di servizio).

Insomma Facebook o altri social-network non possono invocare la spazialità “virtuale” quale esimente per ciò che capita al loro interno. La vicenda di Tiziana Cantone deve insegnare che tutela dei “beni morali” e, più in generale, dei diritti della personalità non deve essere sospesa nello spazio telematico e che anzi vanno innalzati i livelli di tutela e la sensibilità di chi ha la responsabilità dei social media.

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