IL COMMENTO

Vivendi-Mediaset, Giacomelli: “Così l’Italia si riduce a marchio commerciale”

Il sottosegretario alle Comunicazioni nel Governo Renzi commenta l’affaire italo-francese e la questione della svendita dei campioni italiani: “Il Governo deve, non può, controllare e vigilare sugli interessi strategici. E il nostro sistema industriale e finanziario è debole: non esiste un limite oltre cui si tocca l’identità del Paese?”

Pubblicato il 19 Dic 2016

Andrea Frollà

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“Non c’è davvero alcun limite al trasferimento a realtà estere di pezzi importanti del sistema industriale e finanziario italiano? Non c’è nessun confine oltre il quale si toccano interessi vitali, l’identità stessa del Paese? Non c’è nessun limite, superato il quale si debba trovare una risposta del cosiddetto sistema Paese?”. Sono queste le tre domande che il sottosegretario alle Comunicazioni nel governo Renzi, Antonello Giacomelli, pone in un suo intervento pubblicato oggi su Repubblica Affari&Finanza per commentare le ultime novità fulminanti dell’affaire MediasetVivendi e, più in generale, la questione della tutela dell’economia italiana dalle mire straniere.

La scalata di Bolloré al Gruppo di Cologno Monzese pone secondo Giacomelli un problema che “si pone da tempo” e ha “problematicità meno eclatanti del caso Mediaset ma molto più delicate”. Una questione che, sottolinea il sottosegretario, riguarda due aspetti fondamentali: gli interessi strategici dell’Italia sui quali il Governo “deve, non semplicemente può, esercitare controllo e vigilanza” da un lato, la “debolezza e la permeabilità del sistema industriale e finanziario italiano” dall’altro.

Rispetto al primo punto Giacomelli cita il tema delle reti e delle infrastrutture di comunicazione: “Il Governo Renzi – ricorda – ha compiuto due scelte chiave bloccando sia bloccando una Opas (offerta pubblica di acquisto e scambio, ndr) sulle torri di Raiway e affermando in norma la necessità della maggioranza pubblica in un’eventuale fusione, sia avviando la realizzazione della rete in fibra di proprietà pubblica in 7.300 Comuni su 8mila”. Ma, aggiunge, occorre “andare oltre in questa direzione, superando l’errore compiuto dal centro-sinistra di privatizzare la rete Telecom” ed è necessario “considerare il ruolo delle authority e le sue prerogative di vigilanza”.

Per quel che riguarda il secondo aspetto, ossia la configurazione dell’impresa italiana come terra di conquista straniera, Giacomelli evidenzia la più generale caratteristica di debolezza del sistema Italia e mette in luce “la propensione di non pochi dei suoi maggiori protagonisti a cedere quote di controllo delle realtà imprenditoriali più importanti di fronte a irrinunciabili offerte dall’estero”. La lista degli esempi, spiega il sottosegretario, “sarebbe lunghissimo e destinato rapidamente ad allungarsi”. Il grande tema, sottolinea, è che anche se nell’economia globalizzata “non avrebbe alcun senso declinare il principio dell’italianità come unico criterio di giudizio e di azione pare proprio che siamo alle prese con la riduzione del Paese a marchio commerciale”.

Giacomelli spiega di essere in sintonia con il premier Paolo Gentiloni quando, nel suo discorso di insediamento, ha detto che “l’Italia non è territorio di scorribande”. Tuttavia, aggiunge, “servono risposte anche da soggetti diversi da quelli politici o istituzionali” che “non sono neutre da molti punti di vista”. Su tutti questi temi, conclude il sottosegretario alle Comunicazioni, “credo che una riflessione profonda sul ruolo del pubblico, e non solo in termini di politiche di settore, sia inevitabile”.

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