DECRETO MILLEPROROGHE

Web Tax, il governo prende tempo

Rimandata di sei mesi l’entrata in vigore della norma che prevede vincoli fiscali per la pubblicità online. La decisione pare anche frutto delle pressioni dell’Ambasciata Usa. Lorenza Bonaccorsi e Paolo Coppola al Corriere delle Comunicazioni: “Segnale intelligente e di buon senso: un pasticcio che va risolto”

Pubblicato il 28 Dic 2013

Luciana Maci

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La web tax, introdotta nella Legge di Stabilità e destinata ad entrare in vigore dal prossimo primo gennaio, è stata posticipata al primo luglio, aprendo così la strada a un’eventuale, possibile revisione e armonizzazione della normativa a livello europeo. Lo slittamento della norma, che prevedeva l’obbligatorietà di partita Iva italiana per chi vende pubblicità online in Italia, è previsto, come spiegato in un comunicato di Palazzo Chigi, nell’ambito del decreto Milleproroghe.

“È un segnale intelligente, ha vinto il buon senso” è il commento a caldo rilasciato al Corriere delle Comunicazioni dalla parlamentare del Pd e componente della commissione Trasporti e Telecomunicazioni della Camera, Lorenza Bonaccorsi, che il 20 dicembre aveva presentato insieme ai colleghi del Partito Democratico Paolo Coppola, Marco Causi e Giampaolo Galli un ordine del giorno per impegnare il governo alla notifica del provvedimento presso la Commissione Europea. Lo stesso odg chiedeva poi un’”eventuale” sospensione degli “effetti della norma introdotta” e una valutazione di “meccanismi correttivi della disposizione” che era stata promossa dal presidente della Commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia (Pd), ed è passata il 23 dicembre al Senato nell’ambito, appunto, del voto di fiducia al governo sulla 1120/B, ovvero la legge di stabilità.

“Diventando operativo dal primo gennaio – dice la Bonaccorsi – il provvedimento avrebbe messo in una situazione complicata migliaia di aziende, invece servono norme di semplificazione per imprese e cittadini. Penso che il governo userà i sei mesi di proroga per capire come affrontare la tematica a livello europeo: la decisione di posticipare la norma è in linea con il nostro odg e con l’impegno preso dall’esecutivo al momento dell’emissione dell’ordine del giorno. La questione va comunque affrontata in modo che il nostro Paese si collochi più avanti nelle politiche di innovazione”.

“La web tax è stata un pasticcio – le fa eco, parlando al Corriere delle Comunicazioni, uno dei firmatari dell’odg, Paolo Coppola – ma rischiava di essere peggiore se fosse entrata in vigore da gennaio, peraltro facendo scattare immediatamente la procedura di infrazione della Ue (in base alla direttiva comunitaria 98/34 i provvedimenti nazionali che incidono sulle attività di comunicazione elettronica devono essere comunicati tempestivamente alla Commissione europea prima della loro emanazione, ndr). Una normativa di questo genere – prosegue il deputato – avrebbe depresso ulteriormente l’economia digitale, invece serve più impegno per svilupparla, altro che cercare di recuperare un po’ di soldi dagli Ott”. Coppola non ha problemi ad ammettere che “va rivista la fiscalità relativa alle web companies e all’e-commerce” ma ritiene “sbagliato affrontare questioni del genere individualmente: occorre portarle su tavoli più ampi compatibili con i trattati europei”.

A far pressione per lo slittamento della web tax sarebbe stata, secondo i rumors, anche l’Ambasciata Usa e la Camera di Commercio statunitense. Ma già poche ore dopo il via libera del Senato lo stesso presidente del Consiglio Enrico Letta, consapevole delle critiche partite dalla Ue, aveva detto :”È evidente che quel tipo di intervento fiscale che la Camera ha introdotto ha bisogno di un coordinamento con le norme europee essenziali”.

Sostanzialmente favorevole allo slittamento, ma molto critico sull’operato di esecutivo e parlamento, l’avvocato Guido Scorza. Nel suo blog su “Il Fatto” ha definito “incredibile che il governo si sia ritrovato costretto a correggere una legge approvata dal parlamento solo una manciata di giorni prima e, addirittura, non ancora entrata in vigore”. E ancora più “incredibile – ed istituzionalmente inaccettabile – che il governo sia pervenuto alla conclusione di dover ‘mettere una toppa’ sul pasticciaccio del parlamento, sulla base di nozioni elementari di diritto dell’Unione europea”.

Da parte sua Francesco Boccia ha continuato a difendere strenuamente il provvedimento sottolineando che, proprio a causa di questa “battaglia condotta dall’Italia”, il tema della tassazione dei colossi del web nei Paesi in cui operano è diventato “centrale per l’Unione europea”. Con lui nella difesa della web tax così come è passata in Senato anche l’editore Carlo De Benedetti e l’esperto di media digitali Andrea Pezzi. Tra le numerose voci contrarie il neo segretario del Pd, Matteo Renzi, che fino all’ultimo ne aveva invocato la sospensione, ma anche il Movimento 5 Stelle, Stefano Parisi, presidente di Confindustria digitale e Riccardo Donadon, presidente di Italia Startup.

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