DL FISCO

Web tax in vigore dal 1° gennaio: frutterà 600 milioni all’anno

La stima nella relazione tecnica del decreto legge fiscale collegato alla Manovra: aliquota del 3% su ricavi non inferiori a 5,5 milioni. L’imposta dovrà essere versata entro il 16 marzo 2020. Ecco le novità

Pubblicato il 15 Ott 2019

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Seicento milioni di gettito su base annua. È quanto frutterà la web tax (o digital) tax che entrerà in vigore dal prossimo anno: lo prevede la relazione tecnica al decreto legge fiscale collegato alla Manovra, ancora in bozza di 55 articoli. Il provvedimento dà seguito all’annuncio del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, che nei giorni scorsi aveva appunto detto che la tassa sarebbe entrata in vigore il 1° gennaio 2020.

Cosa prevede la web tax

L’imposta sui servizi digitali prevede un’aliquota del 3% sui ricavi da applicare ai soggetti che prestano servizi digitali e che hanno un ammontare complessivo di ricavi non inferiore a 750 milioni e un ammontare di ricavi derivanti dalla prestazione di servizi digitali non inferiore a 5,5 milioni. Le soglie vanno calcolate rispetto ai ricavi conseguiti l’anno precedente; l’esigibilità dell’imposta è prevista a fine 2020; introdotta un’eventuale sunset clause, cioé l’imposta resta in vigore fino all’attuazione delle disposizioni che deriveranno da accordi raggiunti nelle sedi internazionali.

Per quanto riguarda l’identificazione del criterio in base al quale “il dispositivo dell’utente si considera utilizzato nel territorio dello Stato, va fatto riferimento principalmente all’indirizzo di protocollo internet (Ip) del dispositivo stesso o ad altro sistema di geolocalizzazione”. L’imposta resta in vigore fino “all’attuazione delle disposizioni che deriveranno da accordi raggiunti nelle sedi internazionali in materia di tassazione dell’economia digitalizzata”.

La tassa dovrà essere versata “entro il 16 marzo”, mentre “la presentazione della dichiarazione annuale dell’ammontare dei servizi tassabili forniti” dovrà avvenire “entro il 30 giugno dello stesso anno”.

La web tax, prevista dalla Manovra 2019, non è mai entrata in vigore perché non è stato varato il decreto attuativo. La bozza del decreto fiscale ora dispone che non sarà “necessaria l’emanazione di un apposito decreto ministeriale per l’applicazione della normativa”.

La proposta Ocse sulla digital tax

L’Ocse propone di dare ai paesi due nuovi tipi di diritto di imporre una tassazione sulle aziende. Il primo riguarda le aziende del digitale e che si rivolgono direttamente ai consumatori – quindi colossi come Google, Facebook, Amazon, Apple: i singoli stati potranno tassare una quota degli utili globali di queste multinazionali. Anche se tali utili vengono oggi trasferiti in sedi esterne a quello stato, l’Ocse propone di riallocarne una parte. La base per uno stato per calcolare l’aliquota resta il fatturato generato dalla data azienda nel suo territorio.

Come ha sottolineato il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria, occorre “assicurare che i grandi e redditizi gruppi multinazionali, incluse le società digitali, paghino le tasse dovunque abbiano significativi legami diretti con i consumatori e generino i loro profitti”.

In pratica, da un lato sarà il volume del fatturato a determinare il diritto di imposizione, dall’altro la proposta di riallocazione degli utili nei paesi in cui vengono realizzate le vendite prevede un sistema fondato sugli utili residuali del gruppo, anche se l’Ocse non ha definito la formula per il calcolo del residual profit.

La seconda tipologia di tassazione è per le economie emergenti dove le multinazionali vendono i loro prodotti e servizi ma spesso non hanno alcuna presenza fisica: è perciò prevista la possibilità di tassare le attività di distribuzione dei prodotti, assumendo una quota minima di guadagno realizzato sul dato mercato. Anche qui non ci sono dettagli e parametri: l’Ocse dovrà lavorare su quali siano la soglia di fatturato o dimensioni della multinazionale che fanno scattare la tassazione.

Separatamente, l’Ocse intende avanzare una proposta su un’aliquota minima di corporate tax sotto la quale non è possibile scendere.

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