LE NUOVE REGOLE

Gig economy, più diritti per i lavoratori. Ecco la proposta europea

La commissione Occupazione del Parlamento europeo vota le norme per garantire maggiori tutele agli addetti delle piattaforme. Contratti trasparenti, orario di lavoro e formazione i punti chiave

Pubblicato il 15 Ott 2018

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La Ue stringe sui diritti dei lavoratori delle gig economy. Giovedì 18 ottobre la Commissione Occupazione del Parlamento europeo voterà le nuove regole per proteggere i lavoratori precari. Le proposte, che riguardano anche il sistema dei voucher e il lavoro tramite piattaforme e app, includono maggiori informazioni sui termini contrattuali, rendendo più prevedibili gli orari di lavoro, la durata dei periodi di prova e la formazione gratuita.

Si mira ad affrontare i recenti sviluppi digitali che hanno portato alla cosiddetta gig economy e all’ascesa di Uber e Deliveroo.

Uno dei temi caldi è quello della retribuzione. Secondo i membri della Commissione ai lavoratori delle piattaforme non sempre vengono riconosciuti salari adeguati. D’altronde i numeri parlano chiaro. Secondo uno studio condotto da JPMorgan Chase Institute negli Stati Uniti, le piattaforme sottopagano i lavoratori. I guadagni medi mensili sono in drastico calo: se nel 2013 erano pari a 1.469 dollari, nel 2017 si sono ridotti a 783 dollari (solo il 53%). Tuttavia, di contro, nello stesso periodo, le piattaforme di noleggio (tipo Airbnb, Turo e Parklee) hanno aumentato i salari, addirittura del 69%, tanto che nel 2017 essi hanno raggiunto, in media, i 1.736 dollari.

Sostanzialmente stabili, invece, i compensi dei lavori non di trasporto (artigiani e così via), cresciuti dell’1,9%, e delle vendite, aumentati del 9,4%. Da che cosa dipendono queste differenze? Secondo gli esperti, nel 2017 i driver dei servizi di consegna hanno intascato pochissimo per quattro ragioni principali: hanno lavorato per un numero inferiore di ore; i prezzi per ciascuna consegna sono diminuiti; la domanda non è aumentata in modo proporzionale all’aumento del numero dei driver; le singole piattaforme hanno pagato di meno i singoli lavoratori

La conferma di come la gig economy, spesso, non sia dalla parte dei lavoratori arriva anche da uno studio internazionale, realizzato dall’Organizzazione internazionale del Lavoro (Ilo) che ha indagato sul lavoro basato sul web di livello più basso, su piattaforme di lavoro digitali come Amazon e Mechanical Turk. Nel 2017 il lavoratore medio ha guadagnato in media 4,43 dollari l’ora. Ma se si tiene conto anche di tutto il tempo non pagato, per esempio per la ricerca di ordini e di clienti e i test di qualificazione (circa 20 minuti ogni ora), i compensi scendono a 3,31 dollari all’ora.

E in Italia? Nel nostro Paese da luglio 2018 ai rider si applica il contratto nazionale della logistica. L’accordo stabilisce una cornice di diritti chiari, tutele salariali, assicurative e previdenziali tipiche del rapporto di lavoro subordinato.

Nel dettaglio il contratto prevede tutte le tutele, salariali, assicurative, previdenziali, tipiche del rapporto subordinato e quelle contrattuali come assistenza sanitaria integrativa e bilateralità. I rider sono inquadrati con parametri retributivi creati appositamente e come “personale viaggiante”.

L’accordo è un passo importante, che però deve fare i conti con le nuove realtà lavorative della gig economy. Oltre ai sindacati di settore, in prima linea è scesa la Riders Union Bologna, collettivo ben strutturato, tra i firmatari a giugno della “Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano”, primo accordo territoriale metropolitano europeo sulla gig economy. Tra gli altri firmatari ci sono il Comune di Bologna e i segretari di Cgil, Cisl e Uil. Riders Union Bologna sta partecipando anche ai tavoli di lavoro al Mise voluti dal ministro Luigi Di Maio. Proprio nell’ultimo incontro del’11 settembre il ministero ha intimato alle piattaforme digitali di applicare la Carta di Bologna e garantire così diritti e un piano di tutele ben definite. E se le piattaforme non cederanno, scatterà la mobilitazione. L’obiettivo è la reale applicazione della Carta dei diritti del lavoro digitale firmata a Bologna e per ora condivisa solo da Sgnam e MyMenu, che insieme occupano solo circa 130-140 fattorini.

Il Lazio, invece, è stata la prima Regione ad approvare la prima norma italiana a tutela dei lavoratori della gig economy.

La giunta guidata da Nicola Zingaretti (Pd) ha approvato un testo di legge che regola alcuni aspetti di tutela per chi lavora attraverso piattaforme digitali, a partire da un salario minimo, da individuare in contrattazione collettiva, ma anche più sicurezza sul piano assicurativo, di previdenza e di salute.

Tra i punti chiave: rifiuto del cottimo, manutenzione dei mezzi, ma anche indennità per particolari giorni o orari di lavoro. Si era inoltre parlato di una futura Anagrafe del lavoro digitale a cui potranno iscriversi aziende e lavoratori per ottenere ulteriori benefit.

Entrando nel dettaglio nei 3 capi e 14 articoli del testo è previsto che al lavoratore digitale siano riconosciuti il diritto alla tutela contro infortuni e la malattia professionale. Sono le piattaforme digitali ad adottare le misure per la tutela psico-fisica del lavoratore, la manutenzione dei mezzi di lavoro e la formazione sulla sicurezza. Sono poi a carico della piattaforma digitale l’assicurazione obbligatoria contro infortuni, malattie professionali, danni a terzi, la maternità e la paternità. La piattaforma digitale provvede inoltre alla formazione e offre chiarezza e trasparenza su tutte le condizioni contrattuali e lavorative. Inoltre saranno garantite chiarezza e trasparenza anche sull’uso dell’algoritmo che determina l’incontro tra domanda e offerta e sulla procedura di valutazione per la formazione del rating reputazionale. Capitolo compenso: dovrà essere a tempo e non può in ogni caso essere inferiore alla misura oraria minima secondo quanto previsto dalla contrattazione collettiva.

In questo contesto – secondo la Cgil – “è urgente la necessità di fare rete con le altre realtà emergenti. Da più parti in Europa si stanno facendo strada esperienze di piattaforme possedute, gestite e controllate dai platform worker stessi”.

In Francia, la cooperativa CoopCycle mette a disposizione, solo per altre cooperative, un software gestionale open source per gestire ordini e consegne in bicicletta. A Bruxelles un gruppo di riders ha fondato Molenbike: usando l’app francese, la coop belga riesce a consegnare generi alimentari e non. Simile la realtà barcellonese di Mensakas, app gestita dai lavoratori, che funziona come quelle mainstream, ma con un profilo di eticità per i lavoratori. Presente e attiva in Italia è Smart, che unisce oltre 1.500 soci e ha registrato per il 2017 un fatturato positivo di 2 milioni di euro. La gestione è semplice, grazie al sostentamento da parte dei soci che versano l’8,5% dei loro singoli incassi alla struttura, garantendo compensi mensili a ogni lavoratore anche in caso di difficoltà o di ritardi sulle fatture. Inoltre in moltissimi centri ci sono piccole realtà emergenti con un ottimo potenziale. Il lavoro dei fattorini non diventa così più “digitale”, ma è grazie alle stesse tecnologie che ottiene maggiori tutele e può diventare più stabile e duraturo. L’evoluzione tecnologica potrebbe migliorare e rendere più accessibili e diffusi i mezzi che ora stanno sperimentando i primi pionieri. Recuperando e svecchiando così anche le buone pratiche cooperative e sindacali.

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