NEW NORMAL

Smart working in frenata, in Italia si spinge sulla semplificazione

Approvate alla Camera le nuove norme che rendono strutturale la procedura “snella” degli obblighi di comunicazione del lavoro agile. Di Raimondo (Asstel): “Passo importante verso il bilanciamento delle esigenze di lavoratori e imprese”. Indagine Randstad Research: a quota 2,9 milioni i lavoratori da remoto nel nostro Paese, solo il 37,2% dei potenziali 8 milioni

Pubblicato il 28 Lug 2022

smart working

La procedura semplificata degli obblighi di comunicazione dello smart working diventa strutturale. Lo prevedono le nuove norme al Dl Semplificazioni in discussione alla Camera.

Il plauso di Asstel

“Le imprese del settore Tlc guardano con favore le norme di semplificazione per il lavoro agile contenute nel Dl Semplificazioni in discussione alla Camera – dice Laura di Raimondo, Direttrice di Asstel-Assotelecomunicazioni – La loro applicazione  consentirà di snellire le procedure e contestualmente rendere strutturale il cambiamento in una fase non più emergenziale, andando incontro anche alle esigenze delle imprese”.

“È un passo importante per far entrare lo smart working nella ‘nuova normalità’ della società post pandemica, consentendo di bilanciare le esigenze di tutti. Si va incontro ad un modello che la Filiera delle Tlc ha sempre sostenuto, fondandosi su innovazione, sostenibilità, produttività, flessibilità ed equilibrio”, conclude.

L’Italia rallenta sullo smart working

L’Italia rallenta la corsa allo smart working. Su 8,3 milioni di potenziali lavoratori da remoto solo un terzo è “smart worker” almeno un giorno a settimana contro i 12,2 del 2020. Emerge dall’analisi di Randstad Research secondo cui si tratta di un trend in controtendenza rispetto agli altri Paesi europei che registrano un’accelerazione verso il lavoro agile anche all’indomani delle misure anti-pandemiche più stringenti. Il tutto mentre si avvicina il primo agosto, data in cui decadrà la possibilità, prevista dal Decreto riaperture, di svolgere al 100% la prestazione lavorativa in modalità agile, lasciando tale prerogativa alla trattativa privata tra lavoratore e azienda.

Lavora da casa il 13% degli occupati

Lo studio rileva come alla fine 2019 fossero 1,15 milioni gli italiani che lavoravano almeno in parte da casa, arrivati a 2,9 milioni di lavoratori da remoto almeno un giorno a settimana all’ultima rilevazione di fine 2021, in crescita ma ancora solo il 37,2% del potenziale. Sul totale degli occupati, oggi il 13% dei lavoratori italiani lavora da casa. Nello specifico, il 5,9% per 2 o più giorni a settimana, il 7,1% meno di 2 giorni a settimana.

Se però si analizza il dato di chi lavora da casa per almeno metà del tempo, confrontandolo con gli altri paesi europei, si scopre che l’Italia è fanalino di coda e sta “tirando il freno” al lavoro da remoto. La percentuale degli occupati che lavorano almeno la metà delle ore da casa è salita dal 3,6% del 2019 al 12,2% del 2020, per scendere poi all’8,3% nel 2021. Mentre nello stesso periodo la media Ue è passata dal 5,4% del 2019 al 13,4% nel 2021 in crescita costante.

Ma aumentano gli smart worker “a metà tempo”

Se invece si considerano le persone che lavorano da casa meno della metà del tempo, l’Italia è in decisa crescita, dall’1,1% del 2019 al 6,5% nel 2021, ma resta comunque nelle ultime posizioni, mentre la media europea è arrivata al 10,6%. Rispetto ai Paesi Bassi, siamo sotto di quasi 25 punti percentuali.

“Finita la fase più dura della pandemia, quella legata al lockdown, aziende e lavoratori italiani sembrano aver scelto la strada del ritorno alle modalità di lavoro tradizionali, non cogliendo un’opportunità di cambiamento storica – spiega Daniele Fano, Coordinatore del Comitato Scientifico Randstad Research -. Una scelta che si differenzia molto rispetto a quanto fatto nei principali paesi europei. La rivoluzione dello smart working nel nostro paese sembra aver interessato, stabilmente, solo alcune categorie professionali, che non dipendono da una presenza fisica in ufficio e possono facilmente lavorare da casa. Ma di certo rimane aperto il tema della qualità di questo tipo di lavoro, in termini di integrazione con la mobilità intelligente, la programmazione per obiettivi, la congruenza dello stesso lavoro fatto nelle mura domestiche, la capacità di combinare la distanza con incontri in presenza”.

Più donne che uomini fra i lavoratori agili

Sono le donne ad avvalersi maggiormente del lavoro da remoto. A fine 2021 il 14% delle occupate lavora in parte da casa, contro l’11,9% dei colleghi maschi.

Il 6,6% delle donne lavora per la maggior parte del tempo da casa e il 7,8% meno di 2 volte a settimana. Per gli uomini percentuali leggermente più basse: rispettivamente il 5,4% e il 6,5%.

Ha un’età compresa tra i 35 e i 39 anni quasi il 60% di chi è al lavoro da casa per almeno metà del tempo lavorativo, solo il 20% tra i 15 e i 34 anni. È ultra 55enne il 22,3% di chi lavora per la maggior parte del tempo a distanza, il 26,6% di chi è a casa meno di 2 giorni alla settimana.

Più smart al Centro e al Nord Ovest

L’utilizzo del lavoro da casa risulta fortemente differenziato nelle varie aree geografiche del paese. Il 15,5% dei lavoratori del Centro operano almeno in parte da casa.

A seguire il Nord-Ovest (15,2%) e il Nord Est. Distanti le Isole e il Sud Italia dove lavorano almeno in parte da casa rispettivamente il 9,3% e il 9,1% degli occupati.

Il confronto con l’Europa

Quasi ovunque in Europa si nota un aumento continuo dello smart working dal 2019 al 2021. La media europea degli occupati che lavorano spesso da remoto passa dal 5,4% del 2019 al 12% del 2020 al 13,4% del 2021.

In Irlanda, al primo posto in classifica, si è passati dal 7% del 2019 al 32% del 2021. In Belgio dal 6,9% al 26,2%. In Germania dal 5,2% al 17%. L’Italia è l’unico paese dell’Europa a 27, assieme alla Spagna, a far segnare un arretramento nel 2021 rispetto all’anno precedente. Si è passati dal 3,6% del 2019 al 12,2% del 2020, per poi scendere all’8,3% della fine del 2021.

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