OSSERVATORIO POLIMI

Smart working per la green transition: 480 kg di CO2 in meno a persona

Aumenta il lavoro agile nelle grandi imprese e nelle pmi, in calo nelle microimprese e nella PA. Prime sperimentazioni di settimana corta. Impatti anche sul mercato immobiliare e sui territori locali: un lavoratore su sette si è trasferito dalle grandi città

Pubblicato il 06 Nov 2023

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Lo smart working ha effetti importanti sull’ambiente: 2 giorni a settimana di lavoro da remoto evitano l’emissione di 480 kg di CO2 all’anno a persona grazie alla diminuzione degli spostamenti e il minor uso degli uffici. Inoltre ha effetti sul mercato immobiliare e sulle città: il 14% di chi lavora da remoto ha cambiato casa o ha deciso di farlo, scegliendo nella maggior parte dei casi zone periferiche o piccole città alla ricerca di un diverso stile di vita, con un effetto di rilancio per diverse aree del paese. Un cambiamento che ha generato iniziative di marketing territoriale e nuovi servizi, come nuove infrastrutture di connettività o spazi coworking. D’altronde, il 44% di chi lavora da remoto l’ha già fatto – almeno occasionalmente – da luoghi diversi da casa propria, come spazi di coworking, altre sedi dell’azienda o altri luoghi della città.

Sono i dati che emergono dalla ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, secondo cui, nonostante una diffusa narrazione che ne vedrebbe una sostanziale riduzione, lo smartworking in Italia si consolida e torna a crescere. Dopo i picchi della pandemia e una graduale riduzione negli ultimi due anni, infatti, nel 2023 i lavoratori da remoto nel nostro paese si assestano a 3,585 milioni, in leggera crescita rispetto ai 3,570 milioni del 2022, ma ben il 541% in più rispetto al pre-Covid. Nel 2024 si stima saranno 3,65 milioni gli smart worker in Italia.

Settimana corta: prime (rare) sperimentazioni

Nel corso del 2023 i lavoratori da remoto sono cresciuti in particolare nelle grandi imprese, nel comparto sono oltre un lavoratore su due, pari a 1,88 milioni di persone; sono aumentati lievemente anche nelle pmi, con 570mila lavoratori, il 10% della platea potenziale; sono invece ancora calati nelle microimprese (620mila lavoratori, il 9% del totale) e nelle pubbliche amministrazioni (515.000 addetti, il 16%).

In questo quadro, accanto allo smart working l’ultimo anno ha visto l’avvio di sperimentazioni di nuove forme di flessibilità sul lavoro, tra cui quella della settimana corta, applicabile anche a profili che non possono oggi fruire del lavoro da remoto, sperimentata da meno di una grande azienda su 10 con esperienze pilota, spesso limitate a brevi periodi. Il 3% delle grandi aziende, invece, ha introdotto le ferie illimitate, il 41% ha eliminato le timbrature. Il 44% sta sperimentando il “Temporary distant working” che prevede di poter lavorare completamente da remoto per alcune settimane o anche per più mesi, continuativamente, in alcuni casi anche dall’estero.

Smartworking presente nel 96% delle grandi imprese

Quasi tutte le grandi imprese (96%) prevedono al loro interno iniziative di smart working, in larga parte con modelli strutturati, e con il 20% delle imprese impegnate a estendere l’applicazione anche a profili tecnici e operativi precedentemente esclusi. Lo smart working è presente anche nel 56% delle pmi, dove viene spesso applicato con modelli informali spesso gestiti a livello di specifici team, e nel 61% degli enti pubblici, con iniziative strutturate presenti soprattutto nelle realtà di maggiori dimensioni.

Un modello non per tutti davvero “smart”

Non sempre però il lavoro da remoto porta a modelli realmente “smart”. Sono solo i “veri” smart worker, ossia quelli che oltre a lavorare da remoto hanno flessibilità di orari e operano per obiettivi, a presentare livelli di benessere ed engagement più alti dei lavoratori tradizionali in presenza. Questi ultimi hanno livelli migliori rispetto a coloro che lavorano semplicemente da remoto, senza autonomia e responsabilità. I “veri” smart worker, tuttavia, sono più frequentemente vittime di forme di tecnostress e overworking. Un ruolo fondamentale è quello dei manager: i lavoratori con un capo realmente “smart” (che assegna obiettivi chiari, fornisce feedback frequenti e costruttivi, favorisce la crescita professionale e trasmette gli indirizzi strategici) hanno livelli di benessere e prestazioni migliori rispetto a quelli i cui capi non hanno queste caratteristiche.

Non un diritto acquisito, ma uno strumento di innovazione

Nel 2023 lo smart working in Italia torna a crescere, restano però numerose barriere a una sua applicazione matura. Troppo spesso è considerato semplice lavoro da remoto o strumento di welfare e tutela dei lavoratori – spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working -. È quindi necessario ‘rimettere a fuoco’ lo smart working, identificandolo per quello che è realmente: non un compromesso o un male necessario, nemmeno un diritto acquisto o un fine in sé, ma uno strumento di innovazione per ridisegnare la relazione tra lavoratori e organizzazione”.

“Un ruolo fondamentale nello smart working è giocato dai manager, che devono destreggiarsi tra esigenze potenzialmente contrastanti: assicurare benessere e flessibilità alle persone, tenere alta la motivazione e garantire i risultati aziendali – dice Fiorella Crespi, direttrice dell’Osservatorio Smart Working -.  Occorre fare formazione e coaching per migliorare le competenze manageriali rendendo i responsabili capaci di assegnare in modo chiaro gli obiettivi, di supportare le persone nel perseguire quelli più sfidanti, fornire feedback frequenti e costruttivi, favorire la crescita professionale. Uno stile di leadership “smart” permette infatti di migliorare engagement, benessere e prestazioni delle persone”.

Le iniziative mature di smart working

Le aziende che hanno iniziative “mature” di smart working rispetto ai suoi 4 pilastri (policy organizzative, tecnologie, riorganizzazione degli spazi e comportamenti e stili di leadership) presentano migliori risultati nella capacità di attrarre talenti, inclusività, engagement delle persone e work-life balance. Il 52% delle grandi imprese con progetti di smartworking è matura su tutte le dimensioni, contro il 16% della PA e del 15% delle Pmi. 

Policy organizzative

La gran parte delle grandi imprese offre autonomia e flessibilità nella scelta di luogo e orario, nel quadro di regole definite. Il 58% ha linee guida e forme di “galateo” nell’esecuzione delle attività. Nelle PMI, invece, policy spesso informali riguardano il lavoro da remoto, ma non la flessibilità oraria o l’autonomia nella gestione delle attività.

Comportamenti e stili di leadership

Il 59% delle grandi aziende private e il 20% delle PA ha attivato iniziative di formazione per capi e collaboratori sulla gestione dei team da remoto.

Tecnologie

Le organizzazioni si trovano in generale ad un buon livello, grazie a una generalizzata crescita di competenze dovuta all’accelerazione tecnologica data dalla pandemia. 

Riorganizzazione degli spazi

Il livello di maturità è ancora limitato. Solo il 38% delle grandi imprese e il 13% delle PA ha attività su come utilizzare in modo corretto gli ambienti aziendali. Il 35% delle grandi imprese e il 18% delle PA ha però progetti di revisione degli spazi. 

Il futuro dello smart working

Praticamente tutte le grandi imprese prevedono di mantenere lo smart working anche in futuro, solo il 6% si dichiara incerta a tale proposito. Nelle PA c’è invece maggior incertezza: il 20% che non sa come evolverà l’iniziativa, una titubanza che si avverte soprattutto nelle organizzazioni di minore dimensione. Seguono le PMI: il 19% non sa come o se la propria organizzazione prevedrà lo smart working. Complessivamente, si prevede per il 2024 una crescita del numero dei lavoratori coinvolti, che si stima arriveranno a 3,65 milioni.

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